I militanti in piazza in occasione della fashion week di Berlino: "I tessuti vengono riciclati in Ghana, al mercato dell'usato. Inquinano il suolo"
Gli attivisti di Greenpeace protestano per la mancata regolamentazione dell'industria della moda, per il greenwashing e soprattutto per l'esportazione di materiali plastici misti nel Terzo Mondo, che causano enormi problemi di inquinamento. Lunedì a Berlino gli attivisti si sono riuniti a Porta di Brandeburgo, nel cuore di Berlino, per portare avanti le proprie battaglie.La protesta coincide anche con l'inizio della Settimana della moda nella città tedesca, iniziata proprio lunedì.
Un modello da cambiare
Viloa Wohlgemuth, militante di Greenpeace per la protezione delle risorse chiarisce: "Stiamo protestando contro il colonialismo dei rifiuti dell'industria della moda. Perché dietro di me ci sono 4,6 tonnellate di tessuti, pari a 19.000 capi di abbigliamento, e rifiuti di plastica che finiscono in Ghana, nel mercato di Katamanto per essere immessi sul mercato dell'usato di Kantamanto ad Accra, in appena una settimana. Questo provoca un massiccio inquinamento del suolo a livello locale e problemi di salute.È assurdo che i nostri tessuti diventino rifiuti di plastica della moda, da esportare in altri Paesi". E prosegue: "Dobbiamo cambiare l'intero modello. L'alternativa all'acquisto e alla produzione del nuovo deve diventare la nuova normalità. Ciò significa affittare, condividere l'usato, riparare e riciclare". L'attivista ha parlato con Euronews della continua mancanza di regolamentazione dell'industria della moda: "Non è più accettabile che Paesi come la Germania esportino la loro Fast Fashion in Paesi del Terzo Mondo in enormi discariche".
"L'industria della moda si assuma le proprie responsabilità"
Greenpeace chiede che l'industria tessile si assuma la responsabilità dei propri rifiuti.
"Bisogna fare qualcosa per le microplastiche contenute in questi tessuti -dicono gli attivisti -, che stanno causando danni e inquinamento agli oceani e alla terraferma".
Secondo Greenpeace, la cultura della vendita di prodotti da buttare non ha un futuro a lungo termine.