Israele, manifestazione a favore della controversa riforma giudiziaria

Manifestazione a Gerusalemme
Manifestazione a Gerusalemme Diritti d'autore AP Photo
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Di Debora Gandini
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Decine di migliaia di persone sono scese in piazza di fronte alla Knesset

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Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Gerusalemme di fronte alla Knesset, a favore della controversa riforma giudiziaria. La mobilitazione è stata promosso dai partiti della coalizione di maggioranza, come risposta alle proteste contro l’iniziativa legislativa del governo, che da circa 4 mesi scuotono Israele.

Il premier Benjamin Netanyahu, che non ha partecipato alla dimostrazione, ha fatto sapere con un post su Twitter di essere commosso dall’enorme sostegno del campo nazionale venuto a Gerusalemme in massa questa sera. "Tutti noi, i 64 deputati che ci hanno portato alla vittoria, siamo cittadini di prima classe!”.

"Siamo qui su questo palco con 64 voti per riparare un torto. Niente più disuguaglianze, niente sistema giudiziario unilaterale, niente tribunali i cui giudici sono al di sopra della Knesset e al di sopra del governo» ha dichiarato il ministro della Giustizia Yariv Levin, uno dei promotori della riforma, che però non ha escluso “una mediazione

Uno degli slogan della manifestazione è stato “Non vogliamo compromessi" in riferimento ai negoziati in corso tra maggioranza e opposizione voluti dal presidente Isaac Herzog. L’obiettivo è tentare un compromesso fra la linea dura della destra radicale favorevole alla riforma e le opposizioni che accusano la riforma di voler minacciare l’indipendenza della Corte suprema israeliana.

Cosa prevede la riforma

Il testo prevede di togliere poteri alla Corte Suprema e ne consegnerebbe sempre di più al governo, ad esempio per le nomine dei giudici: cosa che, secondo l'opposizione, indebolirebbe la lotta alla corruzione, per la quale, in un processo per certi versi "storico", è coinvolto lo stesso Netanyahu.

Nella maggioranza che sostiene il governo di Benjamin Netanyahu hanno un importante peso specifico gli interessi dei coloni, il 5% della popolazione che abita insediamenti al di fuori dei confini stabiliti dall'armistizio del 1949, nel territorio che gli arabi chiamano West Bank o Cisgiordania per essere a ovest del fiume Giordano, mentre in Israele si preferiscono spesso i nomi biblici di Giudea e Samaria.

Molti coloni e loro rappresentanti, soprattutto tra quelli che si vedono come pionieri che riscattano la terra promessa da Dio, considerano l'attuale Corte suprema ostile, antidemocratica, schierata a sinistra per avere revocato decisioni del Parlamento riguardo lo status degli insediamenti. 

Nel 2020, per esempio, la Corte Suprema ha annullato una legge che aveva legalizzato retroattivamente le costruzioni edificate dai coloni su terreni di proprietà di palestinesi. Sentenze del genere diventerebbero quasi impossibili se la riforma fosse approvata perché il potere dei giudici di intervenire sulle leggi sarebbe limitato dal parlamento. Pesa poi il ricordo del mancato stop della Corte suprema al ritiro della Striscia di Gaza del 2005, quando Israele ritirò i propri militari da questo territorio costiero lungo 50 chilometri e largo meno di 10 e demolì gli insediamenti.

Risorse addizionali per questo articolo • Agenzie Internazionali, ANSA

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