Vendetta per l'uccisione di Soleimani: hackerati due siti israeliani

Manifestanti tengono in mano l'immagine di Soleimani durante una protesta, archivio
Manifestanti tengono in mano l'immagine di Soleimani durante una protesta, archivio Diritti d'autore Vahid Salemi/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved
Di Eloisa Covelli
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I media avevano rivelato il coinvolgimento dell'intelligence israeliana nell'attentato del generale iraniano

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Il sito web del Jerusalem Post e l'account Twitter del quotidiano israeliano Maariv (che hanno lo stesso proprietario) sono stati ripristinati dopo un attacco hacker di matrice iraniana. 

Il gesto arriva nel giorno del secondo anniversario dell'uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, freddato da droni americani vicino all'aeroporto di Baghdad in Iraq. Subito dopo l'uccisione l'allora presidente Usa Trump aveva giustificato l'attacco dicendo che Soleimani stava progettando attacchi imminenti contro diplomatici e personale militare americano. 

"Siamo vicini a te, più di quanto pensi", si leggeva in inglese ed ebraico sui siti hackerati. La scritta era accompagnata da un video di un'esercitazione missilistica iraniana, che si è tenuta il mese scorso, in cui le forze armate di Teheran hanno simulato la distruzione di un modello del reattore nucleare israeliano di Dimona.

L'attacco arriva dopo che un ex capo dell'intelligence militare israeliana ha riconosciuto a dicembre che il Paese era coinvolto nell'attacco aereo statunitense, che ha ucciso il generale iraniano. Secondo i media, Israele ha fornito agli Stati Uniti informazioni di intelligence come i dettagli del volo di Soleimani da Damasco a Baghdad.

"Non è chiaro se gli hacker si trovano in Iran o sono dei supporter che vivono all'estero o se sono sponsorizzati dallo Stato" scrive il Jerusalem Post.

La testata è stata hackerata anche nel 2020, quando la sua homepage è stata sostituita con un'illustrazione con la città israeliana di Tel Aviv in fiamme e il messaggio: "Preparati per una grande sorpresa".

Risorse addizionali per questo articolo • Efe, Jerusalem Post

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