Myanmar: clima incandescente dopo i morti di sabato

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Di Giulia AvataneoPaolo Alberto Valenti
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I birmani sono tornati a protestare in massa, sfidando l'esercito

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Se spari a uno rispondiamo in cento. Con questo slogan i cittadini sono tornati a protestare a migliaia in Myanmar, nonostante la dura repressione messa in atto dall'esercito dopo il golpe di febbraio.

La morte ogni giorno

Potrebbero essere una ventina i manifestanti uccisi in Myanmar in una delle più sanguinose giornate di protesta contro il golpe del 1 febbraio, quando una giunta militare ha rovesciato il governo civile. Le forze di polizia hanno aperto il fuoco sui manifestanti a Hlaing Tharyar, una delle più grandi township della città, agglomerati urbani in cui vige la segregazione e dove le autorità hanno imposto la legge marziale.

Focolai di protesta in tutto il paese

Dawei è uno degli epicentri della protesta, che chiede il ritorno a un governo democratico.

Da qui e da altre città birmane provengono i racconti delle giornate di proteste a cui l'esercito risponde con la violenza.

Il conto incerto delle vittime

Tra le tante vittime c'è anche un ragazzo di appena 21 anni.

Ma è difficile anche tenere il conto dei morti in un Paese dove i cittadini denunciano inoltre le retate delle forze di sicurezza notturne, che si portano via il leader della protesta.

Anche i corpi dei militanti uccisi vengono fatti sparire. Ma coloro che reagiscono al golpe non si rassegnano: lotteremo per i nostri eroi caduti, dicono.

Media silenziati

Nel frattempo resta in carcere Thein Zaw, giornalista dell’Associated Press, arrestato insieme ad altri otto colleghi il 27 febbraio, mentre copriva le manifestazioni. Era stato fermato dalla polizia mentre fotografava alcune cariche della polizia contro i manifestanti.

Il 32enne è accusato di violazione di una legge sull’ordine pubblico. Zaw, che rischia tre anni di carcere, affronterà una nuova udienza al tribunale di Kamayut Township il 24 marzo.

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