Nagorno-Kharabakh: tutti sconfitti

"Mio figlio caduto al fronte. Una morte assurda, come ogni guerra"
Corone di fiori e tumuli a perdita d'occhio sono a Erevan il triste memento delle sei settimane di guerra con l'Azerbaigian, costato all'Armenia un altrettanto doloroso accordo di pace. Quasi 2.400 i soldati ufficialmente caduti sul campo, soltanto fra le truppe azere. "Dall'inizio della guerra - dice un dipendente del cimitero - funerali e cerimonie si susseguono senza sosta. È un vero caos".
Tra gli ultimi a trovare sepoltura qui il giovane Artak. Un soldato di appena 20 anni, che la madre ricorda con la voce rotta dal pianto. "Era coraggioso, determinato. Fedele alle sue promesse", dice. Come lui, tanti altri. Vittime di una guerra, secondo la madre di Artak sinonimo di sconfitta di politica e diplomazia. "Io sono contraria a ogni guerra - dice ancora -. Questa poi non sarebbe dovuta mai cominciare. I politici avrebbero dovuto fare di tutto per impedirla. La diplomazia è il loro mestiere. Hanno gli stru menti per evitare di arrivare a tanto".
I familiari dei soldati caduti: "La guerra è la sconfitta della diplomazia. Politici incompetenti"
Incessante, negli uffici del Ministero della difesa, il viavai dei familiari rimasti senza notizie dei loro cari partiti al fronte. Timore anche di molte ONG è che il bilancio delle vittime sia molto più pesante di quello ufficiale. L'incertezza è logorante, ma lascia spazio alla speranza. "Finché mio fratello non sarà dichiarato morto - dice un giovane - per me sarà vivo". Per altri l'assenza di notizie è però insopportabile. È da mesi che Zaruhi attende il ritorno del figlio. "Si era arruolato un anno e quattro mesi fa - racconta addolorata -. Lo aspettavamo già a giugno". Responsabile, secondo lei, è l'elite politica del Paese. "Se per decenni gli oligarchi non avessero fatto man bassa del nostro paese - dice -, se non avessero tolto mezzi e risorse all'esercito, i nostri figli sarebbero ancora qui".
Recriminazioni a cui si aggiungono quelle sul ricorso alla guerra, per risolvere le ormai antiche contese che oppongono Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh. Una soluzione che agli occhi di molti può dare a Baku può l'illusione della vittoria, ma che in realtà, partorisce solo sconfitti. "È una follia che mio figlio sia stato ucciso - dice ancora la madre di Artak -. E non lo dico perché sono sua madre. Lo dico perché è morto per il suo Paese". Rancori che, sotto la cenere della resa, continuano però a covare, lasciando irrisolti i nodi più profondi, della contesa territoriale per il Nagorno-Karabakh.