Scarsa fiducia nelle istituzioni e clientelismo: 30 anni dopo, l'eredità del comunismo in Romania

Scarsa fiducia nelle istituzioni e clientelismo: 30 anni dopo, l'eredità del comunismo in Romania
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Di Lauren Chadwick
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"Una tipica combinazione balcanica di nazionalismo, socialismo primitivo e clan familiari territoriali. Un mix in cui tutto è negoziabile, prevalgono gli accordi informali e non funziona correttamente alcuna istituzione ufficiale, né è possibile alcun tipo di pianificazione"

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Questa settimana marca il trentesimo anniversario dalla caduta del dittatore Nicolae Ceaușescu in Romania. La rivoluzione mise fine a decennio di dominio comunista nel paese.

Ceaușescu e sua moglie vennero uccisi da un plotone d'esecuzione il 25 dicembre 1989, dopo giorni di sanguinosa rivolta nazionale.

Un rapporto della commissione presidenziale del 2006 del politologo anticomunista Vladimir Tismăneanu definì il sistema "inumano".

"Il regime comunista in Romania, un sistema totalitario dalla sua istituzione fino al suo crollo, era basato sulla costante violazione dei diritti umani, sulla supremazia di un'ideologia ostile all'apertura della società, sul monopolio del potere esercitato da un piccolo gruppo di individui, sulla repressione, l'intimidazione e la corruzione", si legge nel documento.

Quello stesso mese, il presidente Traian Băsescu condannò il regime comunista rumeno, tracciando una simbolica linea rossa tra lo Stato e il suo passato. Ma quanto è riuscita davvero ad evolvere rispetto a quel passato, la Romania? E qual è oggi l'eredità del regime comunista rumeno? Euronews ne ha parlato con due esperti.

Bassa, bassissima fiducia nelle istituzioni

"L'eredità comunista in senso lato è ancora presente, e così sarà sicuramente per un po' di tempo", ritiene George Jiglău, politologo dell'Università Babeş-Bolyai di Cluj-Napoca. "In tutta la regione c'è ancora, ad esempio, un rapporto problematico sia tra i cittadini e lo Stato sia a livello di percezione delle istituzioni".

A dimostrarlo sono i sondaggi, dice Jiglău, che mostrano un'unica costante: la poca fiducia dei cittadini nel governo. Un'inchiesta del maggio 2019 ha rilevato come il 76,4% delle persone ritenga che il proprio paese stia andando nella direzione sbagliata.

Appena l'8,9% dei rumeni crede nei partiti politici e solo il 9,8% nel Parlamento. Le istituzioni più stimate, secondo il sondaggio dell'Inscop, sono l'esercito e la Chiesa.

Fa pensare che "i due pilastri fondamentali di qualsiasi democrazia rappresentativa, i partiti e il parlamento, godano di un così basso livello di fiducia", aggiunge Jiglău, anche se questo non si limita alla Romania.

"È questa sfiducia che "in realtà alimenta il populismo".

L'analista politico Sorin Ionita del Forum di esperti di Bucarest è d'accordo, ma aggiunge come allo stesso tempo i rumeni abbiano più fiducia nelle istituzioni UE.

"Chi vive negli paesi una volta governati da regimi comunisti nei sondaggi appaionio come più cinici e con meno fiducia nelle istituzioni nazionali (ad eccezione di Chiesa ed esercito, ma mostrano al contrario maggiore fiducia nelle istituzioni europee", cosa che può essere attribuibile ad una "aspirazione", un anelito di buon governo.

Uno dei grossi problemi della Romania è l'alto tasso di emigrazione all'estero: un recente rapporto dell'Osce rileva come il 17% della popolazione si sia trasferita all'estero nel 2015 e nel 2016, percentuali più elevate rispetto a Messico, Cina e India.

Questa migrazione è dovuta ad una ereditata "cultura politica" in cui lo Stato ancora non riesce a riconoscere che la sua funzione è quella di "fornire un servizio" ai cittadini, commenta Jiglău.

L'eredità di Ceaușescu

Ma l'eredità più duratura del precedente regime, secondo Ionita, non ha nulla a che vedere con il comunismo.

È "una tipica combinazione balcanica di nazionalismo, socialismo primitivo e clan familiari territoriali. Un mix in cui tutto è negoziabile, prevalgono gli accordi informali e non funziona correttamente alcuna istituzione ufficiale, né è possibile alcun tipo di pianificazione".

Non ci sono piani di nazionalizzazione delle proprietà in vista, ma di sicuro i governi socialdemocratici che si sono succeduti sono andati indietro invece che avanti nel campo della lotta alla corruzione.
Secondo Ionita, il Partito Socialdemocratico (PSD) non è affatto comunista; piuttosto è conservatore, più vicino a posizioni populiste.

Ora però l'esecutivo è cambiato dopo il voto di sfiducia di ottobre e l'ex leader del partito, Liviu Dragnea, è finito in prigione a maggio con accuse di corruzione. Il presidente liberale Klaus Iohannis è stato rieletto promettendo di affrontare il problema della corruzione.

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Non solo: è sua intenzione iniziare ad intavolare un'analisi sulle responsabilità personali per gli atti commessi sotto il regime comunista e durante la rivoluzione che lo ha rovesciato.

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