Il 12 settembre del 1919, Gabriele D'Annunzio entrava a Fiume alla guida di oltre 2500 legionari. La reggenza del Carnaro guidata dal Vate durò 16 mesi e influenzò la storia d'Italia
A Fiume, oggi la croata Rijeka, non ci sono celebrazioni per ricordare l'impresa di cent'anni fa di Gabriele D'Annunzio. Impresa che invece ricorda l'Italia perché ne ha segnato la storia.
Un'impresa quasi unica nella storia contemporanea in modo particolare perché vede un poeta conquistare una città e governarla.
È vero che quel poeta è D'annunzio e che i legionari che entrarono a Fiume il 12 settembre del 1919 obbedivano solo a lui. Circa 2600 uomini di alcuni reparti del Regio esercito entrarono nella città adriatica contesa tra il Regno d'Italia e quello di Jugoslavia.
La reggenza di Fiume, città di vita come la definì D'Annunzio, durò 16 mesi e fu un vero e proprio laboratorio politico di anarchici e nazionalisti. Con la Carta del Carnaro si diede vita a un'esperienza per certi versi modernissima: a Fiume si poteva divorziare e molti italiani lo fecero, tra gli altri anche Gugliemo Marconi, c'era un reddito di cittadinanza e a immagine e somiglianza del Vate fu anche patria di molta sregolatezza.
L'impresa fiumana raggiunse l'epilogo con l'approvazione del Trattato di Rapallo del 1920 tra Italia e il Regno dei Serbi Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che di fatto tolse Fiume all'Italia.
L'opposizione dei dannunziani all'applicazione del trattato portò il governo Giolitti ad intervenire con la forza, nell'ormai famoso Natale di Sangue; Fiume fu sgomberata e la residenza di D'annunzio, che vediamo qui sopra bombardata.
Ambiguo l'atteggiamento di Benito Mussolini, all'epoca direttore del Popolo d'Italia, che in seguito cercò di arginare la creatività del vate, relegandolo con vitto e alloggio nell'esilio dorato del Vittoriale.