Usa. Elogio della politica migratoria in stile Trump nel discorso al Congresso

Il formato bonsai della sua campagna elettorale. In versione edulcorata. Donlad Trump ha pronunciato il suo primo discorso davanti al Congresso degli Stati Uniti: un discorso certamente caratterizzato da toni più “presidenziali”, preparato con cautela dall’amministrazione repubblicana e nel quale non sono mai comparse tre parole chiave: niente “Russia”, niente “Messico”, nessuna denuncia di “fake news”. Ma gli elementi chiave della sua retorica sono emersi con forza. A partire dalla battaglia contro l’immigrazione.
“Rendendo più rigide le nostre leggi sull’immigrazione” ha detto “aumenteremo i salari, aiuteremo i disoccupati, risparmieremo miliardi e miliardi di dollari e renderemo le nostre comunità più sicure per tutti. Il sistema attuale è obsoleto, danneggia i salari dei lavoratori più poveri e aumenta la pressione fiscale sui contribuenti. In tutto il mondo Paesi come il Canada, l’Australia o molti altri hanno politiche migratorie basate sul merito”.
Pur senza cambiare rotta e mantenendo al centro l’interesse per la sicurezza negli Stati Uniti, Trump ha avuto parole di distensione quando ha evocato la lotta senza quartiere da condurre contro l’Isis: “lavorando con i Paesi alleati, compresi gli amici del mondo musulmano, per eleminare il nemico” ha detto.
“Secondo i dati forniti dal Dipartimento di Giustizia, la stragrande maggioranza degli individui condannati per terrorismo e reati connessi al terrorismo a partire dall’11 settembre” ha affermato Trump “sono arrivati dall’estero. Consentire un ingresso senza controllo in provenienza da luoghi per i quali non sono possibili verifiche adeguate non è una questione di compassione ma di imprudenza”.
Ovazioni repubblicane frequenti, in primis quando Trump ha parlato del muro che costruirà “alla frontiera con il Sud”, senza mai pronunciare la parola Messico. E infine l’immancabile appello al Congresso: lavoriamo assieme “per salvare gli americani dal disastro dell’Obamacare” ha detto.