Budapest e Bratislava si oppongono al 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Il ministro ungherese Szijjártó: “L’Ue vuole vietarci il gas russo a basso costo. Così si mette a rischio la nostra sopravvivenza energetica”
Nel cuore dell’ennesimo confronto europeo sull’Ucraina e la linea dura contro Mosca, due Stati membri si sono messi di traverso. Ungheria e Slovacchia hanno annunciato che impediranno l’adozione del 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, incentrato sul settore energetico. A dirlo è stato il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, parlando da Bruxelles durante il Consiglio Affari Esteri dell’Ue.
“Ci è stato chiesto di approvare sanzioni le più dure di sempre sull’energia, ma abbiamo detto no”, ha dichiarato Szijjártó. “La Commissione vuole vietare ai nostri Paesi di acquistare gas e petrolio russo a basso costo. Per noi significherebbe triplicare i costi dei servizi pubblici e mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale”.
RePowerEU sotto accusa
Al centro della contesa c’è il piano RePowerEU, con cui Bruxelles punta a tagliare tutte le importazioni di energia fossile dalla Russia entro il 2027. Una strategia che, secondo Budapest e Bratislava, ignora le vulnerabilità strutturali di alcuni Paesi dell’Europa centrale ancora fortemente dipendenti dal gas e dal petrolio russi.
Szijjártó ha ricordato che già nel 2022, quando l’Ue ha introdotto l’embargo sul petrolio russo, Ungheria e Slovacchia avevano ottenuto un opt-out. Ma il piano RePowerEU, a differenza delle precedenti sanzioni, non prevede margini di veto o negoziazione: una linea imposta dall’alto, secondo i due governi.
“La procedura con cui viene attuata questa strategia è inaccettabile”, ha detto il ministro ungherese. “Se si ignora il nostro diritto alla sovranità energetica, ci troveremo di fronte a una crisi interna senza precedenti”.
“Chiudere il rubinetto russo è una necessità geopolitica”
La Commissione europea difende però con forza la linea dura. Presentando la proposta, la presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che “la Russia ha ripetutamente tentato di ricattarci armando le sue forniture energetiche. È ora di chiudere il rubinetto e porre fine all’era dei combustibili fossili russi in Europa”.
Oltre alla graduale eliminazione delle forniture energetiche, il nuovo pacchetto di sanzioni prevede anche misure finanziarie estese: inserimento nella lista nera di altre 22 banche russe, restrizioni a entità extra-Ue che facilitano l’elusione delle sanzioni, e blocco delle transazioni sul gasdotto North Stream. Sebbene la proposta non fosse formalmente all’ordine del giorno della riunione dei ministri, il dibattito politico è stato acceso. Il voto vero e proprio avverrà in una riunione degli ambasciatori a Bruxelles, ma la spaccatura interna è ormai evidente.
Ungheria contro l’adesione dell’Ucraina all’Ue
La frattura tra Budapest e Bruxelles non si limita alla questione energetica. In conferenza stampa, Péter Szijjártó ha ribadito che l’Ungheria si opporrà a qualsiasi dichiarazione favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue durante il prossimo Consiglio europeo. “La nostra posizione è chiara: finché non saranno restituiti i diritti della comunità ungherese in Transcarpazia, non ci sarà alcun passo avanti per l’Ucraina”, ha affermato.
Budapest accusa Kiev di discriminare la minoranza ungherese limitandone i diritti linguistici ed educativi. La linea del governo Orbán è coerente con la campagna interna contro l’adesione ucraina all’Unione, descritta come una minaccia economica e culturale per l’Europa. Una posizione isolata: negli ultimi vertici, 26 Stati membri hanno appoggiato l’ingresso dell’Ucraina. Solo l’Ungheria si è dissociata.
Budapest e Bratislava sfidano l’unità europea
Il doppio no di Ungheria e Slovacchia – alle sanzioni energetiche e all’adesione dell’Ucraina – rappresenta una sfida aperta all’unità dell’Unione Europea sulla questione russo-ucraina. Non si tratta più di divergenze tattiche, ma di un’incompatibilità strategica.
Da un lato, Bruxelles cerca di costruire un’Europa “libera dal ricatto energetico russo” e solidale con Kiev. Dall’altro, Budapest e Bratislava pongono la questione della sopravvivenza economica nazionale e dei diritti delle minoranze come condizioni non negoziabili. La battaglia sul 18esimo pacchetto di sanzioni potrebbe essere solo l’inizio di una crisi diplomatica più ampia, in cui il compromesso politico appare sempre più difficile da raggiungere.