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Perché le vaste risorse del Venezuela stuzzicano l'appetito di Trump

Un membro della Milizia Bolivariana espone un'immagine Hugo Chavez durante una manifestazione a Caracas, in Venezuela, lunedì 28 luglio 2025
Un membro della Milizia Bolivariana espone un'immagine Hugo Chavez durante una manifestazione a Caracas, in Venezuela, lunedì 28 luglio 2025 Diritti d'autore  Ariana Cubillos/ AP
Diritti d'autore Ariana Cubillos/ AP
Di Ekbal Zein & يورونيوز
Pubblicato il
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Oltre alle ricchezze petrolifere, il Paese possiede enormi riserve di gas naturale, ferro e bauxite, materiali di base dell'industria dell'alluminio

La "maledizione delle risorse" sta perseguitando il Venezuela, proprio come accadde all'Iraq nel 2003. La retorica di Donald Trump appare infatti in netto contrasto con la filosofia del "soft power" che i suoi predecessori - repubblicani e democratici - hanno adottato per decenni.

Trump ha accusato il Venezuela di aver sottratto beni e risorse agli Stati Uniti

Esaurita la retorica della denuncia del narcotraffico e dell'accusa a Nicolas Maduro di essere un presidente illegittimo dopo un'elezione controversa e discutibile, il leader repubblicano - influenzato dal suo lungo passato nel mondo degli affari - sembra essere passato al nocciolo della questione, accusando Caracas di aver sottratto risorse, terreni e beni agli Stati Uniti e annunciando un blocco navale finalizzato al recupero forzato di tali risorse**. Ma perché Trump considera le ricchezze del Venezuela come proprie?**

Dalla scoperta del petrolio al ruolo primario durante la Seconda guerra mondiale

Fino alla metà degli anni Trenta, il Venezuela si basava sul caffè per le sue esportazioni, ma la scoperta del petrolio - all'inizio del XX secolo - ha cambiato la direzione economica del Paese.

Nel frattempo, gli Stati Uniti producevano ed esportavano automobili e le loro necessità di carburante erano crescenti. Washington trovò nel Paese sudamericano un mercato pronto e in crescita.

Le compagnie petrolifere americane, come Shell, Gulf Oil e Standard Oil, entrarono presto in forze a Caracas. Nel 1929, aziende degli Stati Uniti producevano circa il 60 per cento del petrolio del Venezuela, controllavano le trivellazioni e le esplorazioni e consolidavano al contempo la loro influenza politica, tanto che durante la Seconda guerra mondiale il Venezuela divenne il maggiore esportatore di petrolio al mondo e un'ancora di salvezza per gli Alleati.

La svolta di Hugo Chavez a partire dal 1999 e le scelte di Maduro dal 2013

Tuttavia, la situazione è cambiata dopo che l'ex presidente Hugo Chavez, nel 1999, grazie alla cosiddetta Rivoluzione bolivariana. Il nuovo capo di Stato ha avanzato una politica "anti-imperialista" e cosgruito relazioni amichevoli con regimi ostili a Washington, come Cuba, Iraq e Libia.

Chavez ha nazionalizzato ampi settori economici, dal petrolio all'agricoltura, dalle industrie alla terra, e ha creato la compagnia Petróleos de Venezuela (Pdvsa), che copre oggi circa il 50 per cento delle entrate statali e l'80 per cento delle esportazioni del Paese . Tutto ciò ha influito negativamente sugli interessi di diverse aziende statunitensi e ha contribuito a creare ostilità, al punto che l'allora segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfeld lo ha paragonato ad "Adolf Hitler".

Dopo la morte di Chavez, Nicolás Maduro è salito al potere a Caracas nel 2013 e ha dovuto affrontare un cambiamento radicale nella politica di Washington nei confronti del suo Paese.

Mentre le amministrazioni Obama e Biden avevano perseguito una politica attendista e di pressione graduale, Trump, fin dal suo primo mandato, ha scelto di andare nella direzione opposta. Adottando una politica di confronto diretto, facendo passare Washington dall'"attendismo" a una pressione globale e a un confronto aperto volto a rovesciare il regime di Maduro.

Nel 2019, la prima amministrazione Trump ha riconosciuto ufficialmente il leader dell'opposizione Juan Guaidó come legittimo presidente ad interim del Venezuela, descrivendo Maduro come un "usurpatore del potere" tra un'opposizione interna che lo accusa di totalitarismo e populismo.

Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro si rivolge ai propri sostenitori a Caracas, mercoledì 10 dicembre 2025
Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro si rivolge ai propri sostenitori a Caracas, mercoledì 10 dicembre 2025 Ariana Cubillos/ AP

Trump vuole porre fine alla "marea rosa" in America Latina

Per decenni, le relazioni tra Stati Uniti e Venezuela hanno rappresentato un caso particolare che meritava uno studio specifico sia politico che economico. Si ritiene che Washington voglia sfruttare Caracas per porre fine alla "marea rosa", ovvero la presenza di governi di sinistra in America Latina.

Poiché i colpi di Stato o le sanzioni non hanno raggiunto i loro obiettivi, la Casa Bianca ha fatto ricorso a pressioni dirette per costringere questi governi a dimettersi, cosa che alcuni descrivono come una "punizione" per qualsiasi regime che non apra la propria economia al capitale internazionale, secondo Gregory Wilbert, studioso americano specializzato in affari venezuelani.

2025, l'anno dell'escalation tra Stati Uniti e Venezuela

Nel gennaio 2025, Maduro ha giurato per un terzo mandato a seguito di un'elezione la cui validità è stata contestata da più parti. Al contempo, Trump è tornato alla Casa Bianca per un secondo mandato, e non ha atteso a lungo per portare a termine ciò che aveva iniziato. Accusando Maduro di frode elettorale e cancellato lo status di protezione temporanea (Tps) a favore di circa 600mila venezuelani residenti negli Stati Uniti.

L'amministrazione Trump ha poi designato il clan venezuelano Tren de Aragua come "organizzazione terroristica straniera", sostenendo, senza alcuna prova, che il gruppo sia manovrato da Maduro. Quindi il presidente statunitense ha annullato le concessioni petrolifere del Venezuela firmate dall'amministrazione Biden e ha imposto un dazio del 25 per cento ai Paesi che acquistano petrolio da Caracas.

Ad agosto, Trump ha offerto una ricompensa fino a 50 milioni di dollari per l'arresto di Maduro e lo ha definito "leader terrorista globale". A ciò ha fatto seguito una campagna navale "anti-narcotici" nei Caraibi e nel Pacifico, prima di minacciare un intervento militare che potrebbe comportare truppe sulla terraferma, il che ricorda proprio l'invasione dell'Iraq del 2003.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump Alex Brandon/ AP

Le ricchezze petrolifere, e non solo, del Venezuela

Il Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere accertate al mondo, che nel 2014 ammontavano a circa 298 miliardi di barili. Il greggio rappresenta infatti la spina dorsale dell'economia di Caracas, contribuendo a quasi il 90 per cento delle entrate totali e generando un costante surplus commerciale.

Petrolio

Oltre alle ricchezze petrolifere, il Paese possiede enormi riserve di gas naturale, ferro e bauxite, materiale di base dell'industria dell'alluminio.

Idroelettrico

L'energia idroelettrica copre circa il 25 per cento del fabbisogno elettrico del Paese e l'eccedenza viene esportata nelle vicine Colombia e Brasile. Sul fiume Karuni sono state costruite importanti dighe; la diga di Guri (entrata in funzione nel 1978) è una delle più grandi al mondo in termini di capacità produttiva.

Ferro e alluminio

Il ferro risulta concentrato negli altopiani della Guyana. Viene estratto dalla società statale CVG Ferrominera Orinoco. La bBauxite è Il secondo minerale più importante del Paese, estratto per la produzione di alluminio, che colloca il Venezuela tra i maggiori fornitori mondiali di questo metallo.

Le industrie locali del ferro e dell'alluminio beneficiano di energia idroelettrica a basso costo, che ne aumenta la competitività.

Altre risorse

Il Venezuela possiede una vasta gamma di altri metalli e minerali, tra cui oro, argento, uranio, nichel, fosforo, carbone, piombo, zinco, rame, titanio e diamanti. Tuttavia, le esportazioni di queste risorse rappresentano solo una piccola percentuale del mercato globale rispetto al petrolio e ad altre risorse chiave.

Perché la Cina chiede che l'America Latina resti una "zona di pace"

Con l'escalation delle tensioni nei Caraibi, ci si chiede se le minacce di Trump si tradurranno in un'azione militare vera e propria o se siano semplicemente un modo per fare pressione su Maduro affinché si dimetta. Ma un attore internazionale sta osservando in silenzio l'evolversi della situazione: la Cina.

Il 3 dicembre, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha dichiarato che la chiusura dello spazio aereo venezuelano viola le norme internazionali e offende la sovranità nazionale, aggiungendo che il suo Paese rifiuta l'interferenza negli affari interni del Venezuela "con qualsiasi pretesto". Ha quindi invitato tutte le parti a mantenere l'America Latina una "zona di pace".

Pechino ha sviluppato forti legami con diversi Paesi dell'America Latina, tra cui proprio il Venezuela, nell'ambito di una strategia volta a espandere la propria presenza nelle regioni a lungo dominate dagli Stati Uniti.

Il ruolo della Cina tra obiettivi politici e vendite di armi

Dall'epoca di Chavez, che sosteneva un sistema internazionale multipolare, la Cina è diventata la principale destinazione del petrolio venezuelano, con 268mila barili al giorno acquistati nel 2024.

Gli osservatori ritengono che un'eventuale azione militare degli Stati Uniti in Venezuela potrebbe aumentare le preoccupazioni regionali, ma è improbabile che il colosso asiatico intervenga militarmente per proteggere i Paesi dell'America Latina, poiché la strategia cinese si concentra sull'utilizzo dello sviluppo come "arma" per raggiungere obiettivi politici, senza impegnarsi a difendere i propri partner in modo diretto.

Tuttavia, la campagna elettorale di Trump potrebbe offrire opportunità alla Cina, come l'espansione del mercato degli armamenti in America Latina. Il Venezuela acquista una varietà di mezzi da combattimento, dalle attrezzature antisommossa ai missili e forse in futuro anche dei caccia. Pechino ha venduto attrezzature militari anche ad Argentina, Bolivia ed Ecuador.

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