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Telelavoro: il Regno Unito è al vertice della classifica in Europa, l’Italia si ferma a metà strada

Donna al computer portatile a Londra.
Donna al computer portatile a Londra. Diritti d'autore  AP/2021
Diritti d'autore AP/2021
Di Servet Yanatma
Pubblicato il
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Il Regno Unito ha il più alto tasso di lavoro da casa in Europa. Ma perché alcuni Paesi lo adottano più di altri? E cosa rivela l’indagine sulle nuove abitudini post-pandemiche?

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Secondo l’ultima edizione dell’Indagine Globale sugli Accordi di Lavoro (Global Survey of Working Arrangements, G-Swa), il Regno Unito registra il più alto tasso medio settimanale di lavoro da casa (Work From Home, Wfh) tra i 18 Paesi europei presi in esame, con 1,8 giorni a settimana.

Su scala globale, solo il Canada fa meglio, con 1,9 giorni, collocando così il Regno Unito al secondo posto tra 40 nazioni. Lo studio ha coinvolto lavoratori a tempo pieno tra i 20 e i 64 anni con diploma universitario o equivalente.

Cosa spinge il Regno Unito a lavorare più da remoto?

Il primato britannico è legato a un insieme di fattori culturali, economici e istituzionali. Secondo Cevat Giray Aksoy, economista capo della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e docente al King’s College London, il Regno Unito si distingue per un alto livello di individualismo culturale, che favorisce modelli di lavoro autonomi e meno gerarchici.

Inoltre, i prolungati lockdown durante la pandemia da Covid-19 hanno spinto le imprese a investire rapidamente in infrastrutture digitali e a ridefinire le politiche interne. Aksoy sottolinea anche il peso del settore dei servizi nell’economia britannica—finanza, consulenza e media—ambiti più facilmente adattabili a modalità ibride.

Oggi il lavoro ibrido non è più un benefit, ma una vera e propria aspettativa dei lavoratori

Ignorare questa realtà può mettere le aziende in svantaggio competitivo rispetto a quelle di altri Paesi anglofoni che offrono maggiore flessibilità
Cevat Giray Aksoy
economista capo della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo

Le altre nazioni europee: tra pratiche ibride e ritardi culturali

Nel panorama europeo, Finlandia (1,7 giorni) e Germania (1,6 giorni) seguono da vicino il Regno Unito, con tassi di WFH sopra la media globale di 1,2 giorni a settimana. Anche Portogallo (1,5 giorni), Ungheria e Paesi Bassi (entrambi 1,4 giorni) mostrano una buona propensione al lavoro da remoto.

A metà classifica troviamo Cechia, Italia e Svezia, che si attestano a 1,3 giorni settimanali.

Spagna, Romania e Austria sono perfettamente allineate con la media globale. In coda, Francia (1 giorno), Turchia (0,9 giorni) e soprattutto Grecia, fanalino di coda europeo con solo 0,6 giorni di telelavoro a settimana.

Grecia: perché si lavora così poco da casa?

Nel caso greco, i bassi livelli di lavoro da remoto si spiegano sia con la struttura economica che con la cultura organizzativa. L’economia greca è infatti orientata verso settori come turismo, vendita al dettaglio e ospitalità, che richiedono la presenza fisica.

Ma secondo Aksoy c’è di più: "La Grecia ha un basso punteggio in termini di individualismo culturale. Inoltre, prima della pandemia, il grado di digitalizzazione e di flessibilità gestionale era limitato". Tutto questo ha rallentato l’adozione e la normalizzazione di modelli di lavoro a distanza.

I Paesi nordici si dividono sulle scelte organizzative

Nonostante la Finlandia sia seconda in Europa per giorni lavorati da casa, i vicini nordici presentano una realtà diversa: Norvegia e Danimarca non superano i 0,9 giorni a settimana, mentre la Svezia si colloca nel mezzo con 1,3 giorni.

La divergenza dipende, secondo Aksoy, da differenze culturali interne: la Finlandia ha una maggiore valorizzazione dell’autonomia e del bilanciamento vita-lavoro, elementi storicamente radicati nel settore pubblico e in quello tecnologico. Norvegia e Danimarca, invece, mostrano ancora modelli organizzativi più tradizionali e una minore spinta all’adozione di pratiche flessibili.

Le grandi economie europee si muovono in ordine sparso

Tra le cinque maggiori economie dell’Unione europea, il panorama è eterogeneo. La Francia, con appena 1 giorno di lavoro da casa a settimana, resta tra le meno flessibili.

La Germania, al contrario, guida il gruppo con 1,6 giorni, mentre Italia (1,3 giorni) e Spagna (1,2 giorni) si mantengono in linea con la media globale.

La Polonia supera di poco la soglia dell’1,1, mentre la Turchia, pur non appartenendo all’Ue, mostra tendenze simili con 0,9 giorni settimanali. Questi dati indicano che le differenze non seguono solo criteri economici, ma anche culturali e politici.

Perché alcuni Paesi abbracciano il lavoro da casa più di altri?

Le differenze nei livelli di lavoro da remoto riflettono un mix complesso di fattori culturali, industriali e geografici. Tra i predittori più forti, Aksoy indica l’individualismo culturale, ovvero la tendenza a valorizzare l’autonomia individuale rispetto al controllo collettivo. A questo si aggiungono variabili pratiche: la durata e severità dei lockdown Covid-19, la densità urbana (che rende gli spostamenti più lunghi), e soprattutto la presenza di settori facilmente remotizzabili, come la tecnologia e la finanza. In sintesi, Paesi più digitalizzati, con economie orientate ai servizi e culture meno gerarchiche, sono quelli dove il lavoro da casa ha trovato terreno fertile.

Il telelavoro si stabilizza, ma il cambiamento non si è fermato

A livello globale, i dati mostrano che il lavoro da casa si è in parte stabilizzato: si è passati da 1,6 giorni settimanali nel 2022 a 1,33 nel 2023, per poi scendere più lentamente a 1,27 giorni nel 2024-2025.

Secondo Aksoy, questa apparente stabilità non deve ingannare: "Non siamo davanti a una stasi, ma a un punto di equilibrio provvisorio. Le nuove tecnologie, i cambiamenti demografici e le pressioni del mercato del lavoro possono ancora modificare gli equilibri".

Il futuro del lavoro resta dunque aperto, ma una cosa è certa: il lavoro da casa, da fenomeno emergenziale, si è trasformato in una componente strutturale del mondo del lavoro moderno

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