Ex Ilva, i lavoratori di Genova manifestano contro il piano del governo. Analisi delle rivendicazioni sindacali, impatto economico e scenario europeo della siderurgia
Quasi a fine giornata, la mobilitazione dei lavoratori dell’ex Ilva a Genova Cornigliano raggiunge un punto critico: lo sciopero di 24 ore proclamato da Fim, Fiom e Uilm ha paralizzato gli stabilimenti, mentre un presidio è in corso da ore davanti ai cancelli.
Gli operai chiedono con forza la riapertura di un tavolo negoziale, dopo la rottura del dialogo con il governo avvenuta pochi giorni fa a Palazzo Chigi.
I sindacati denunciano un piano che penalizza in modo deciso il Nord Italia, scaricando sui lavoratori un processo di “decelerazione industriale” invece di una vera transizione “verde”.
Le rivendicazioni sindacali: lavoro e formazione al centro
Le richieste dei lavoratori sono chiare e nette. I sindacati chiedono il ritiro del progetto governativo, considerato un tentativo di dismissione degli stabilimenti. La formazione proposta in alternativa alla cassa integrazione viene vista come uno strumento insufficiente e funzionale solo a ridurre gradualmente l’attività produttiva.
Il piano del governo prevede circa 6.000 lavoratori in cassa integrazione entro gennaio, con quasi 1.000 posti a rischio solo a Cornigliano.
Michele de Palma, segretario generale Fiom-Cgil, ha denunciato che l’accelerazione della decarbonizzazione in quattro anni non è supportata da risorse certe e che il piano industriale originale di otto anni non esiste più.
La posizione del governo e le incertezze sul piano
Il governo ribadisce di non voler chiudere gli impianti e promette un forte investimento sulla formazione per aggiornare i lavoratori alle tecnologie sostenibili.
Il ministro Adolfo Urso ha sottolineato che la formazione dovrebbe preparare i lavoratori a operare negli impianti “green”, ma i sindacati la vedono come un modo per ridurre l’occupazione e limitare la produzione. La mancanza di dettagli sul piano e la velocità della transizione preoccupano fortemente gli operai.
Scenario economico europeo: la siderurgia sotto pressione
Il contesto europeo aggrava la crisi. Secondo il rapporto European Steel in Action 2025 di Eurofer, la produzione siderurgica nell’Ue ha raggiunto circa 130 milioni di tonnellate nel 2024, ancora lontana dai livelli pre-crisi.
La domanda interna resta debole a causa dei settori costruzioni e automotive, mentre i costi energetici elevati rendono meno competitiva la siderurgia europea. La sovracapacità globale pesa ulteriormente, con molte grandi acciaierie che hanno rallentato investimenti “green” per incertezza regolamentare e costi elevati.
Politiche europee a sostegno dell’acciaio verde
La Commissione europea sta cercando di tutelare l’industria siderurgica con misure come la riduzione delle importazioni esenti da dazi e l’aumento dei dazi al 50 per cento sulle tonnellate extra-quota.
Tuttavia, i sindacati italiani sottolineano che queste misure sono insufficienti senza investimenti reali per modernizzare gli impianti e renderli più produttivi e sostenibili. La sfida europea comprende anche l’uso strategico dei rottami e l’implementazione di forni elettrici per decarbonizzare la produzione.
Il futuro incerto dell’ex Ilva
Il destino dell’ex Ilva resta appeso a un filo. Se prevalessero logiche di riduzione occupazionale e abbassamento della produzione, gli stabilimenti del Nord potrebbero spegnersi lentamente, con migliaia di posti a rischio. Se invece emergesse un piano industriale forte, orientato alla siderurgia verde con idrogeno, forni elettrici e riciclo dei rottami, sarebbe possibile salvare non solo i posti di lavoro, ma anche l’importanza strategica dell’Ilva nell’economia italiana ed europea.
La mobilitazione odierna non è solo una protesta sindacale. È il segnale della fragilità di una siderurgia italiana ancora non sincronizzata con la transizione verde europea. A fine giornata, i lavoratori restano davanti ai cancelli, determinati a lottare per un futuro industriale che non sia soltanto la fine di un’era.