Lo storico accordo nucleare del 2015 con le potenze mondiali, noto come Joint Comprehensive Plan of Action, aveva limitato il livello di arricchimento di Teheran al 3,67 per cento e ridotto le sue scorte di uranio a 300 chilogrammi
La Guida suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, ha criticato mercoledì una prima proposta giunta dagli Stati Uniti in merito ai negoziati sull'avanzamento del programma nucleare di Teheran, ma non ha rifiutato del tutto l'ipotesi di un accordo con Washington. Tuttavia, lo stesso dirigente iraniano ha ribadito la linea fin qui seguita da Teheran, ovvero il rifiuto di rinunciare all'arricchimento dell'uranio in qualsiasi eventuale accordo.
Tale richiesta è stata ripetutamente avanzata da funzionari di Washington, e anche dal presidente Donald Trump, anche se non è chiaro quanto l'inviato degli Stati Uniti in Medio Oriente Steve Witkoff abbia insistito sul punto nella prima proposta inviata all'Iran. La volontà di Khamenei di non chiudere a priori a un'intesa è in ogni caso positiva: Teheran considera d'altra parte importante il negoziato, poiché potrebbe portare all'eliminazione di alcune sanzioni economiche alle quali attualmente è sottoposta la Repubblica islamica.
L'ayatollah non ha inoltre indicato un livello specifico di arricchimento nucleare. Attualmente l'Iran arriva fino al 60 per cento: a poca distanza da quanto necessario per ottenere testate. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, che ha condotto i colloqui con Witkoff, ha dichiarato che Teheran invierà presto una risposta agli Stati Uniti.
Le posizioni di Khamenei sono state illustrate mercoledì in un discorso tenuto presso il mausoleo del Grande Ayatollah Ruhollah Khomeini: "Se possedessimo cento centrali nucleari ma senza arricchimento, non potremmo utilizzarle", ha sottolineato la Guida suprema.
I dettagli della proposta statunitense non sono stati indicati
I dettagli della proposta statunitense rimangono poco chiari, anche dopo cinque cicli di colloqui tra Teheran e Washington. Un rapporto del sito d'informazione Axios sulla proposta, i cui dettagli sono stati confermati separatamente da un funzionario statunitense, include un possibile consorzio nucleare che arricchirebbe l'uranio per l'Iran e le nazioni circostanti. Ma, appunto, non è chiaro se l'Iran debba rinunciare completamente al suo programma di arricchimento.
Un mancato accordo potrebbe far salire ulteriormente le tensioni in un Medio Oriente già in ebollizione per via della guerra tra Israele e Hamas a Gaza. L'economia iraniana, da tempo in crisi, potrebbe entrare in una fase di caduta libera, aggravando i disordini interni.
Israele o gli Stati Uniti potrebbero anche effettuare attacchi aerei, da tempo minacciati, contro le strutture nucleari iraniane. E Teheran potrebbe decidere di interrompere del tutto la sua cooperazione con l'organo di controllo nucleare dell'Onu (l'Aiea) e accelerare il percorso verso la costruzione di una bomba nucleare.
Il cambiamento di tono sui negoziati con gli Stati Uniti
L'ottantaseienne Khamenei, che ha l'ultima parola su tutte le questioni in Iran, spesso bilancia le sue osservazioni tenendo conto delle richieste dei riformisti all'interno del Paese, che sostengono il dialogo, contro i fautori di una linea dura da parte della teocrazia iraniana, tra i quali figura la Guardia Rivoluzionaria paramilitare.
In un discorso tenuto ad agosto scorso, Khamenei aveva aperto la porta a possibili colloqui con gli Stati Uniti, affermando che "non c'è nulla di male" nel dialogare con il "nemico". In seguito, la Guida suprema ha mitigato tale affermazione, precisando che i negoziati "non sono intelligenti, né saggi o onorevoli".
Il discorso di Khamenei di mercoledì ha comunque offerto l'opportunità di discutere la proposta di Witkoff. La Guida suprema l'ha descritta come "al 100% contraria all'idea del 'possibile'", parafrasando uno slogan del governo iraniano.
Il leader di Teheran ha quindi affermato che gli Stati Uniti da tempo cercano di smantellare l'intera industria nucleare iraniana: "I leader americani, irrispettosi e insolenti, continuano a reiterare questa richiesta con parole diverse". Lo storico accordo nucleare del 2015 con le potenze mondiali, noto come Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), aveva limitato il livello di arricchimento di Teheran al 3,67 per cento e ha ridotto le scorte di uranio a 300 chilogrammi.
Questo livello è sufficiente per le centrali nucleari, ma molto al di sotto dei livelli necessari per gli armamenti (90 per cento). Da quando l'accordo è venuto meno l'accordo, nel 2018, con il ritiro unilaterale degli Stati Uniti voluto da Trump, l'Iran ha abbandonato tutti i limiti al suo programma e ha arricchito l'uranio fino al 60 per cento.