La ministra del Turismo del governo di Giorgia Meloni è stata rinviata a giudizio con gli altri 15 indagati con l'accusa di concorso in falso di bilancio. Il processo è in programma per il prossimo 20 marzo
La ministra italiana del Turismo Daniela Santanchè è stata rinviata a giudizio dalla gup di Milano Anna Magelli con l'accusa di concorso in falso in bilancio nell'ambito del caso Visibilia. Il processo è in programma il prossimo 20 marzo davanti al Tribunale di Milano.
La procura contesta alla ministra, che dal novembre 2014 al dicembre 2021 fu consigliera e poi amministratrice delegata, presidente e soggetto economico di riferimento del gruppo Visibilia, e agli indagati, di aver "con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, ciascuno in ragione delle cariche rivestite, consapevolmente esposto dati falsi nei bilanci tra il 2016 e il 2022".
Secondo quanto emerge, le presunte false comunicazioni sociali sarebbero servite a "conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto", attraverso la "prosecuzione dell'attività di impresa nascondendo al pubblico le perdite, evitando sia la necessaria costosa ricapitalizzazione, sia la gestione meramente 'conservativa'".
I pm sostengono che in questo modo gli indagati avrebbero ottenuto "liquidità mediante l'emissione di prestiti obbligazionari convertibili, il mantenimento dei rapporti contrattuali, bancari e finanziari e il mantenimento della quotazione".
Rinviati a giudizio anche gli altri 15 indagati, tra cui il compagno della ministra Dimitri Kunz d'Asburgo Lorena, la sorella Fiorella Garnero, la nipote Silvia Garnero, l'ex compagno Canio Giovanni Mazzaro. L'imputato, Federico Celoria, consigliere del cda di Visibilia Editore tra il 2014 e il 2017, ha invece scelto di patteggiare.
Legali di Santanchè: "Decisione che lascia l'amaro in bocca"
"È una decisione che ci aspettavamo ma che ci lascia l'amaro in bocca. Dimostreremo l'estraneita' dalle accuse in dibattimento", ha commentato a caldo l'avvocato della ministra Niccolò Pelanda.
L'indagine era partita dopo la segnalazione di alcuni soci di minoranza, tra cui l'imprenditore Giuseppe Zeno, parte civile insieme ad altri due piccoli azionisti, che avevano denunciato irregolarità nella gestione della società