Muore di malaria non diagnosticata, esposto della famiglia

(ANSA) – AGRIGENTO, 25 FEB – Aspettano da tre anni risposte
sulla morte di Loredana Guida, l’insegnante 44enne di Agrigento
deceduta per una forma gravissima di malaria contratta in
Nigeria, paese in cui avrebbe voluto aprire una scuola per
bambini. La malattia le venne diagnosticata soltanto dopo giorni
dal suo rientro in Italia nonostante, febbricitante e
sofferente, avesse detto, prima al suo medico di famiglia, poi
al pronto soccorso e alla guardia medica di essere tornata
dall’Africa. Un indizio che nessuno ha colto e che ha portato
alla morte della giovane donna.
Ora i familiari hanno scritto una lettera al Capo dello Stato,
alla Procura generale di Palermo e al ministro della Salute per
raccontare il calvario vissuto dall’insegnante e chiedere
giustizia. Solo per tre medici, infatti, la Procura di Agrigento
ha chiesto il processo, per due sanitari – il primario della
Rianimazione e una dottoressa del pronto soccorso- i pm hanno
per due volte e nonostante le perplessità del gip sollecitato
l’archiviazione, sostenendo che le condizioni della donna
fossero già così gravi che nulla i due avrebbe potuto fare. Una
valutazione non condivisa dalla famiglia che chiede aiuto alle
istituzioni.
Al comparire dei primi sintomi Loredana si rivolse al suo medico
di famiglia al quale disse subito d’essere stata in Africa.
Liquidata con la diagnosi di una banale influenza senza essere
mai visitata, fece la spola tra pronto soccorso e guardia medica
per giorni. Il 20 gennaio del 2020 arrivò in coma in ospedale.
Solo 24 ore dopo venne ricoverata e sottoposta al test sulla
malaria. E con incredibile ritardo le fu somministrato il
chinino che l’Asp di Agrigento dovette andare a prendere a
Catania.
La famiglia- la madre e i tre fratelli – chiedono “un giusto
processo” “dove le parti, interpellate ognuno per le proprie
responsabilità nel contraddittorio che si addice ad un paese
civile, – scrivono – possano e debbano esprimere le proprie
motivazioni dichiarandosi innocenti fino a prova contraria”. Ma,
se colpevoli, “siano condannate senza possibilità di
scorciatoie”. (ANSA).