Sarajevo, il ricordo a 30 anni dall'assedio con un'altra guerra nel cuore dell'Europa

Il ricordo a Sarajevo
Il ricordo a Sarajevo Diritti d'autore AP Photo
Di euronews e ansa
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La "Gerusalemme d'Europa", anche così è chiamata Sarajevo perché convivono 4 confessioni religiose, venne assediata 30 anni fa dalle truppe serbe e serbo-bosniache. L'assedio durò quattro anni dal 1992 al 1996

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Lo sgomento di oggi per l’invasione dell’Ucraina rende ancora più doloroso l’anniversario per i 30 anni dall’assedio di Sarajevo.

Assedio durato quattro anni, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, il più lungo della storia contemporanea, che costò la vita a ben più di 11 mila civili. Oltre 50.000 vennero feriti, l'85% del totale.

Vide scontrarsi le forze del governo bosniaco, che aveva dichiarato l'indipendenza dalla Jugoslavia, contro l'Armata popolare jugoslava e le forze serbo-bosniache che miravano a distruggere il neo-indipendente Stato della Bosnia ed Erzegovina e a creare la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.

A causa dell'elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334 664 unità, il 64% della popolazione pre-bellica.

Nella "Gersualemme d'Europa" vivevano e vivono tuttora i bosniaci musulmani, i serbi ortodossi e i croati cattolici. Cercavano di sfuggire il mirino dei cecchini serbi che dalle colline circostanti sparavano a ogni essere in movimento. La Bosnia è ancora costellata di fosse comuni, che periodicamente restituiscono resti e scheletri di vittime di uno dei più cruenti conflitti fratricidi che insanguinarono l'ex Jugoslavia. Il 31 maggio 1992, poco dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, le autorità locali serbe a Prijedor ordinarono via radio ai non serbi di esporre sulle facciate delle proprie case lenzuola bianche e, se fossero usciti per strada, di portare nastri bianchi al braccio, in modo da essere riconoscibili. Fu l'inizio di discriminazioni sistematiche. Di maltrattamenti, stupri, deportazioni e uccisioni fra la popolazione locale non serba. Si calcola che solo nella zona della città bosniaca furono massacrate oltre 3 mila persone, fra i quali 102 bambini, e circa 30 mila vennero deportate.

L’obiettivo delle secessioni è stato quello di creare Stati monoetnici, diventati quasi anacronistici nell'epoca di una mondializzazione che pure oggi in Europa potrebbe fare un salto indietro.

Non solo la Bosnia, tuttavia, subì gli effetti della dissoluzione della Jugoslavia iniziata con la morte di Josip Broz Tito. Il disgregamento della Jugoslavia avvenne attraverso gli strumenti concentrici di elezioni, referendum e guerre.

Il giornalista Roberto Olla con il suo speciale "Jugoslavia, la morte di un Paese" ricorda che "i massacri e le stragi di civili sconvolsero l'opinione pubblica mondiale arrivando così all'istituzione da parte dell'Onu di un tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, "per la prima volta dopo la seconda Guerra Mondiale e il tribunale di Norimberga".

Tornando in Bosnia, l'edificio della scuola elementare di Fatima Gunic reca ancora i segni della guerra di 30 anni fa. L'insegnante Arijana Djidelj continuò imperterrita a lavorare e oggi ricorda : "I bambini sono innocenti, non capivano bene cosa stesse succedendo, ma erano molto spaventati. Durante le lezioni, quando iniziavano le sparatorie o i bombardamenti, si radunavano intorno a me e mi guardavano come se potessi offrire loro una soluzione. Nei momenti più bui li facevo cantare". Oggi di quei bambini sono rimasti i ricordi, che Djidelj conserva attraverso le immagini dei loro volti, riprodotti a scala naturale sui banchi di scuola. La maestra ripercorre quella via, cammina in mezzo alle loro storie, alle loro paure. Cammina immersa nella storia, affinché non venga dimenticata.

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