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Crisi migranti, arrestati trafficanti al confine tra Polonia e Bielorussia

Crisi migranti, arrestati trafficanti al confine tra Polonia e Bielorussia
Diritti d'autore  Pavel Golovkin/AP
Diritti d'autore Pavel Golovkin/AP
Di Debora Gandini
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Tra i detenuti accusati di traffico di migranti, i cosiddetti corrieri, ci sono tunisini, georgiani, ucraini, siriani e anche cittadini polacchi

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Ancora arresti al confine tra Polonia e Bielorussia. Le guardie di frontiera hanno fermato diverse persone accusate di traffico di migranti verso l'Europa occidentale. Uomini che chiedono anche tremila euro per spingere i rifugiati ad attraversare illegalmente i confini con l’obiettivo di raggiungere vari paesi europei.

Chi riesce ad oltrepassare recinti e filo spinato, dopo aver trascorso settimane, nei boschi trova chi li aspetta su auto e furgoni. Come ci racconta Anna Michalska, portavoce della Guardia di frontiera, la destinazione finale per la maggior parte di questi migranti non è la Polonia. Non vogliono restare qui nel paese. Il 90% di loro vuole raggiungere altri paesi, come quelli dell’Europa occidentale.

Un'attività criminale molto redditizia

Negli ultimi cinque mesi sono circa 5.000 i rifugiati che sono riusciti ad arrivare in Germania passando dalla Polonia orientale. 500 le persone finite in manette con l’accusa di essere coinvolte nel traffico di questi disperati. Tra i detenuti accusati di traffico di migranti, i cosiddetti corrieri, ci sono tunisini, georgiani, ucraini, siriani e anche cittadini polacchi. Artur Szykula, portavoce della procura spiega che questa attività criminale finora ha fruttato ai trafficanti circa 8 milioni e 700 mila euro. Solo i corrieri stessi hanno ricevuto l'importo di oltre 4 milioni e 300 mila euro.

Intanto centinaia di migranti hanno lasciato la zona, molti sono tornati in Iraq, ma molti continuano a vivere nelle foreste. Secondo la comunità internazionale dietro questa emergenze c’è la Bielorussia del Presidente Alexander Lukashenko, accusato di avere creato questa crisi migratoria come ritorsione per le sanzioni imposte al suo regime. Accuse sempre respinte da Minsk mentre l’Unione europea cerca una soluzione al problema.  

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