Proteste e Bitcoin in Kazakhstan: anche il mercato delle criptovalute è a rischio. Possibile ribasso dell'hashrate
La crisi in Kazakhstan rischia di compromettere un settore fondamentale in cui il Paese asiatico primeggia, quello delle criptovalute.
Il Kazakhstan è di poco secondo, dietro agli Stati Uniti, in termini di quota del mercato globale del mining di Bitcoin, con il 18,1% di tutto il mining di criptovalute. Le cifre fanno riferimento all'agosto dello scorso anno, l'ultimo mese per il quale i dati erano disponibili, secondo il Cambridge Centre for Alternative Finance.
Nell'anno archiviato, **circa 90mila società di criptomining si sono insediate nel Paese, dopo il giro di vite della Cina che ha messo un freno al crescente consumo energetico. **
Uno dei più grandi complessi minerari di Bitcoin al mondo si trova vicino alla città di Ekibastuz, a circa 300 chilometri da Astana-Nur Sultan: 8 hangar, riempiti da circa 50.000 miners alimentati direttamente dalla locale centrale a carbone, equivalente al consumo di una città di circa 100.000 persone.
Serve infatti molta energia per la produzione di criptomonete e, nel 2021, la domanda energetica elevata ha provocato un aumento dell'8% del prezzo dell'elettricità, prodotta per lo più da centrali a carbone.
Le proteste e i disordini innescati dal caro energia potrebbero dunque abbassare l'hashrate, termine tecnico che viene usato per descrivere la potenza di calcolo di tutti i minatori nella rete bitcoin. Un'eventualità che rappresenterebbe un'indicatore molto attendibile sulla situazione in Kazakhstan.