Julian Assange non sarà estradato negli USA, la gioia degli attivisti

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Il fondatore di WikiLeaks è accusato di spionaggio: in caso di processo negli Stati Uniti rischierebbe una condanna fino a 175 anni di carcere

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Il tribunale londinese di Old Bailey ha rifiutato la richiesta degli Stati Uniti di concedere l'estradizione di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks accusato di spionaggio.

A emettere il verdetto, contrario rispetto alle attese, è stata la giudice Vanessa Baraister. Alla base della decisione le preoccupazioni per la salute di Assange, che secondo Baraister sarebbe a rischio di suicidio. "Julian Assange è un uomo depresso, a tratti disperato, con la determinazione di aggirare qualsiasi misura di prevenzione del suicidio presa in carcere", ha detto la giudice.

Delusione del governo USA, mentre il Messico offre asilo ad Assange

Washington farà appello contro la mancata estradizione (il ministro della giustizia americano si è detto estremamente deluso) mentre gli avvocati di Assange, attualmente detenuto in carcere a Londra, sono al lavoro per chiederne la liberazione. Il Messico, intanto, storicamente terra d'approdo di esuli, ribelli e perseguitati, ha offerto asilo ad Assange.

Dalla compagna di Assange e madre dei suoi due figli, Stella Moris, è arrivato un appello alla grazia diretto alla presidenza degli Stati Uniti. "Presidente, abbatta i muri di questa prigione, che i nostri figli abbiano il padre; Julian libero, libera la stampa, liberi tutti noi", ha detto la donna impegnata in prima linea della campagna contro l'estradizione.

Il fondatore di WikiLeaks è stato arrestato nell'aprile 2019 per aver contribuito a svelare file riservati americani relativi fra l'altro a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. L'arresto era avvenuto dopo che Assange aveva trascorso sette anni nell'ambasciata ecuadoriana a Londra - senza mai lasciarla - dove aveva trovato rifugio dopo aver violato le condizioni della sua cauzione.

Poco tempo fa le condizioni di detenzione del fondatore di WikiLeaks sono state denunciate dal relatore dell'ONU sulla tortura, Niels Melze, in una lettera aperta al presidente statunitense del 22 dicembre. Nel frattempo centinaia di associazioni, direttori di testate giornalistiche e attivisti per i diritti umani si sono mobilitati nel mondo contro la richiesta di estradizione.

Giornalisti e attivisti si felicitano

"Grazie a tutti coloro che si sono battuti contro una delle più pericolose minacce alla libertà di stampa degli ultimi decenni. Ora speriamo che sia la fine di questa storia". Ha twittato Edward Snowden, l'ex collaboratore della NSA e gola profonda dello scandalo sulle intercettazioni globali effettuate dagli Usa.

"Ed ecco qua il sistema giudiziario indipendente. Funziona una meraviglia". Scrive l'oppositore russo Alexey Navalny.

"Abbiamo apprezzato la decisione di non estradare Julian Assange negli Usa e riteniamo importante che la corte abbia riconosciuto che, a causa delle sue condizioni di salute, Assange avrebbe rischiato di subire maltrattamenti nel sistema penitenziario statunitense", ha dichiarato Nils Muižnieks,direttore per l'Europa di Amnesty International.

In Italia Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi scrivono "La sua estradizione sarebbe stato un duro colpo per la libertà di informazione".

In USA Assange rischia il carcere a vita

L'australiano rischia fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti per aver rilasciato, a partire dal 2010, più di 700mila documenti classificati sulle attività militari e diplomatiche statunitensi, anche in Iraq e Afghanistan. Su di lui pendono 17 capi d'accusa tra cui spionaggio.

Il giornalista ha rivelato al mondo le torture in Iraq e nel carcere di Guantanamo, le uccisioni sommarie di civili in Afghanistan e che il grande fratello statunitense ascoltava anche la cancelliera tedesca Angela Merkel e l'ex segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon.

Gli Stati Uniti sostengono che il fondatore di WikiLeaks abbia messo in pericolo le fonti del governo americano, un'accusa che Assange contesta. Tra i documenti pubblicati c'è un video che mostra i civili uccisi dal lancio di un elicottero da combattimento americano in Iraq nel luglio 2007, tra cui due giornalisti della Reuters.

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