Elezioni Usa 2020: chi sono i grandi elettori e come funziona il sistema elettorale?

Il collegio elettorale statunitense è composto da 538 grandi elettori: sono loro ad eleggere il presidente
Il collegio elettorale statunitense è composto da 538 grandi elettori: sono loro ad eleggere il presidente Diritti d'autore Euronews
Di Lauren Chadwick
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Non sempre a vincere è il candidato che ottiene più voti a livello nazionale. Un sistema che in passato ha favorito Trump e che nel 2000 permise a George W. Bush di battere Al Gore

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Che si tratti di Donald Trump o del suo sfidante Joe Biden, il candidato presidenziale più popolare potrebbe in realtà finire per perdere.

Questo perché - a differenza di molti altri paesi - le elezioni presidenziali negli Stati Uniti non sono decise da chi si aggiudica più voti.

Sono invece i collegi elettorali dei singoli Stati a determinare il risultato in un sistema controverso basato sul sistema "che vince prende tutto" ("winner-takes-all").

Cos'è il collegio elettorale e come funziona?

Il collegio elettorale statunitense è formato da un gruppo di grandi elettori ("electors" in inglese) che rappresentano ciascuno dei 50 stati Usa e votano per il presidente. Ad ogni Stato viene assegnato un numero di grandi elettori in base alla popolazione. La California per esempio ne ha 55, mentre il Wyoming ne ha 3.

I grandi elettori di solito sostengono il candidato che conquista il maggior numero di voti nel proprio Stato. Quindi chiunque vinca il voto popolare in California otterrà i voti di tutti e 55 i grandi elettori.

I grandi elettori sono 538, numero che corrisponde alla somma dei rappresentanti statunitensi (435), dei senatori (100) e di 3 grandi elettori assegnati alla capitale Washington, che non farte di nessuno Stato. Per vincere un candidato presidenziale ha bisogno dell'appoggio di almeno 270 grandi elettori.

Stati in bilico

Negli Stati Uniti ci sono due principali partiti politici, il Partito Democratico, orientato a sinistra pur avendo al suo interno correnti più conservatrici, e il Partito Repubblicano, tradizionalmente conservatore.

La maggior parte degli Stati vota costantemente in un modo o nell'altro. Sono considerati dai partiti delle roccaforti, motivo per cui sono spesso trascurati durante la campagna elettorale. Le attenzioni dei candidati sono perciò concentrate sugli Stati in bilico ("swing states"), dove entrambi i partiti hanno possibilità di vittoria e che, di conseguenza, sono considerati chiave per vincere le elezioni.

Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Florida, Iowa e Ohio sono alcuni degli Stati in bilico nelle elezioni del 2020. Un lista a cui potrebbero aggiungersi anche Stati che in passato sono andati spesso ai Repubblicani, come l'Arizona, la Carolina del Nord (dove Obama ottenne una vittoria di misura nel 2008) e la Georgia.

Un sistema elettorale controverso

Il collegio elettorale dà "ai piccoli Stati molto più potere nella scelta del presidente rispetto ai loro mandati di popolazione rispetto ai grandi Stati", ha detto a Euronews David Redlawsk, professore di scienze politiche all'Università del Delaware.

La California per esempio ha 55 grandi elettori, mentre il Wyoming ne ha 3, anche se la popolazione della California è circa 68 volte quella del Wyoming.

Inoltre tutti gli Stati, tranne due, i voti dei grandi elettori vanno tutti al candidato che ha vinto il voto popolare. Questo, sottolinea Redlawsk, significa che "chiunque voti per il candidato perdente in uno Stato è essenzialmente non rappresentato".

Ecco perché si può vincere il voto popolare ma perdere le elezioni, cosa che è avvenuta nel 2000 quando George W. Bush ha ricevuto l'appoggio di 271 grandi elettori nonostante Al Gore avesse ottenuto 500mila voti in più a livello nazionale.

Nel 2016 Donald Trump ha trionfato assicurandosi 304 grandi elettori, anche se a livello nazionale Hillary Clinton ha conquistato quasi tre milioni di voti in più.

Nonostante sia impopolare tra gli elettori americani è improbabile che il sistema cambi, visto che il Congresso dovrebbe emendare la Costituzione. Per farlo servirebbe il sostegno di due terzi di entrambe le camere del Congresso: un'intesa al momento altamente improbabile.

Come è nato il sistema dei grandi elettori?

Quando i fondatori degli Stati Uniti scrissero la Costituzione nel 1787, si discusse su come scegliere il presidente e il vice presidente degli Stati Uniti.

I fondatori erano preoccupati, dopo aver combattuto una guerra contro la monarchia britannica, che l'esecutivo potesse finire per avere troppo potere.

Stando a diversi storici pare che i fondatori nutrissero anche una certa diffidenza nei confronti della democrazia diretta, mentre altri erano preoccupati di bilanciare gli interessi dei singoli Stati.

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"Alcuni volevano che il Congresso scegliesse il presidente. Altri volevano che fosse indipendente dal Congresso - ha detto Redlawsk - la Convenzione di Filadelfia era vicina alla fine, i delegati erano stanchi. Alla fine hanno trovato un compromesso in base al quale sarebbe toccato agli Stati il compito di eleggere il presidente, e non al Congresso".

Molti storici sostengono che il sistema affondi le sue radici anche nella tratta degli schiavi. Un altro compromesso raggiunto alla Convenzione permise infatti agli Stati del sud di aggiungere tre quinti della loro vasta popolazione di schiavi alla popolazione totale per ottenere un maggior numero di grandi elettori e più seggi al Congresso.

Il sistema utilizzato oggi ha preso definitivamente forma con il 12° emendamento alla costituzione, approvato nel 1804 per risolvere un difetto della costituzione originale emerso nelle elezioni del 1800, vinte dal partito Democratico-Repubblicano.

Fino a quel momento i grandi elettori erano autorizzati a esprimere due preferenze per la carica di presidente: sia Thomas Jefferson che Aaron Burr, membri del partito Democratico-Repubblicano, ottennero lo stesso numero di voti (75).

Un pareggio inatteso, visto chei democratici-repubblicani avevano previsto che uno degli elettori si sarebbe astenuto dal votare Aaron Burr, in modo da garantire la vittoria Jefferson e lasciare la carica di vice presidente allo stesso Burr.

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Il piano, tuttavia, non fu rispettato: tutti i grandi elettori espressero un voto congiunto Jefferson-Burr. Fu quindi necessario il voto della Camera dei Rappresentanti per sbloccare lo stallo e assegnare la presidenza a Jefferson.

Il 12° emendamento alla costituzione fu approvato per evitare il ripetersi di una situazione simile: prevede che i grandi elettori esprimono una preferenza per il presidente e per il vice-presidente, in modo che più candidati non possano ottenere lo stesso numero di voti.

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