Qatar: l'inferno dei lavoratori migranti, tra salari da fame e diritti negati

Operai al lavoro nello stadio di Lusil, uno degli impianti che ospiterà il Mondiale del 2022, 20 dicembre 2019
Operai al lavoro nello stadio di Lusil, uno degli impianti che ospiterà il Mondiale del 2022, 20 dicembre 2019 Diritti d'autore Hassan Ammar/Ap
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Di Jasmin Bauomy
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Un nuovo rapporto di Human Rights Watch fa luce sulle precarie condizioni di lavoro di migliaia di lavoratori arrivati nel Paese in vista del Mondiale del 2022

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Un rapporto di Human Rights Watch pubblicato oggi ha rivelato un abuso sistematico dei diritti dei lavoratori migranti in Qatar in vista della Coppa del Mondo del 2020.

In un Paese che fa ampio ricorso ai lavoratori migranti, molti datori di lavoro trattengono, ritardano o detraggono arbitrariamente del denaro dal salario dei loro dipendenti.

"Senza i lavoratori migranti la vita quotidiana in Qatar si fermerebbe completamente", dice Maham Javaid di Human Rights Watch. "Eppure è difficile trovare lavoratori migranti che non abbiano subito abusi salariali di vario tipo".

Javaid fa parte di un team che ha compilato il rapporto sulle condizioni dei lavoratori migranti in Qatar. Ha scoperto che la maggior parte di loro ha subito abusi salariali da parte dei loro datori di lavoro.

Ma secondo Javaid il tempo a disposizione del Qatar per apportare le necessarie modifiche alle sue leggi sul lavoro sta per scadere: quando, dopo il Mondiale, l'opinione pubblica volgerà lo sguardo altrove, "il Qatar non avrà più questa possibilità di lasciare un'eredità e di essere in vantaggio rispetto agli altri Paesi del Golfo".

La storia di un lavoratore migrante

Se Sam* (31) avesse saputo cosa significa lavorare in Qatar, non avrebbe lasciato il Kenya.

"Se potessi tornare indietro nel tempo, forse andrei in Canada o in Australia", ha detto a Euronews.

Sette anni fa Sam ha salutato sua moglie e sua figlia. Da allora è stato una guardia di sicurezza nei numerosi cantieri del Qatar che si prepara al Mondiale.

È un appassionato di calcio e ha anche partecipato a un torneo riservato ai lavoratori migranti. Ma ora si sente in trappola.

Se non altro, durante la pandemia di COVID-19, ha ancora un lavoro e può guadagnare un po' di soldi da mandare a casa. In Kenya, dice, il governo non sostiene finanziariamente i suoi cittadini in questi tempi e non ci sono posti di lavoro.

Per Sam rimanere e lavorare in Qatar è il male minore: è uno degli oltre due milioni di lavoratori migranti nel Paese, e rappresenta circa il 95% della sua forza lavoro totale, un numero enorme, considerando che l'intera popolazione è di 2,6 milioni di abitanti. Molti vengono dall'India, dal Nepal, dalle Filippine, dal Bangladesh, dal Kenya e dall'Uganda per cercare migliori opportunità di guadagno.

Questi lavoratori non sono solo responsabili della costruzione degli stadi per i Mondiali: sono autisti, addetti alle pulizie, baristi, cuochi, addetti alla sicurezza in aeroporto e occupano molte altre posizioni essenziali nell'economia del Paese. Anche se non andaste in Qatar per vedere una partita di calcio, interagireste con i lavoratori migranti per la maggior parte del tempo.

Indicatori del lavoro forzato

Sam sa di essere uno dei fortunati per quanto riguarda il suo salario. Anche se, come molti altri, ha dovuto affrontare altri problemi, come il pagamento di 120.000 scellini keniani (circa 940 euro) a un reclutatore affinché gli trovasse un lavoro che gli avrebbe fatto guadagnare abbastanza soldi da offrire alla moglie e al figlio una vita agiata.

Al suo arrivo gli è stato detto che, se fosse rimasto, avrebbe potuto salire di grado e aumentare il suo stipendio nel corso degli anni. Samuel sapeva che il Qatar aveva bisogno di molti lavoratori migranti per prepararsi ai Mondiali.

Proprio come migliaia di altri lavoratori, Sam è rimasto scioccato quando ha visto le condizioni in cui avrebbe dovuto vivere per gli anni successivi. Per sei anni è stato stipato in baracche di legno stile container da spedizione con diversi altri uomini.

Solo nell'agosto del 2019 lo hanno trasferito in una casa, dove ora divide la stanza con altri cinque uomini. "Qui l'igiene è un po' meglio di prima", dice Sam. "Ma non c'è molto che si possa fare con così tante persone".

Ma Sam viene pagato puntualmente (anche gli straordinar)i. Lo stipendio più l'indennità arrivano a 1.500 riyal del Qatar (circa 350 euro): Sam ne invia a casa 1.200 (circa 280 euro) a casa e riesce a vivere del resto.

Ma ha sentito parlare di molti altri che non hanno questo lusso.

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"Soprattutto durante il periodo del Coronavirus. C'erano operai che venivano messi in quarantena. Quando uscivano, avevano bisogno di mandare soldi a casa. Alcuni non avevano più soldi e alcune aziende non li pagavano", dice.

Stando al rapporto di Human Rights Watch gli abusi salariali sono aumentati durante la pandemia, ma molti lavoratori migranti li avevano già sperimentati in precedenza.

Human Rights Watch ha parlato con 93 lavoratori che hanno lavorato per 60 diversi datori di lavoro e aziende tra il gennaio 2019 e il maggio 2020, tutti hanno denunciato una qualche forma di abuso salariale: straordinari non pagati, detrazioni arbitrarie, ritardi nei pagamenti, trattenute di salario, salari non pagati o imprecisi.

Il sistema kafala

Molti degli abusi sono fondati sul sistema kafala (sponsorizzazione) del Qatar, che lega i lavoratori ai loro datori di lavoro. I datori di lavoro hanno la responsabilità di fornire la residenza legale ai lavoratori che assumono dall'estero, il che rende questi ultimi altamente dipendenti dalle aziende.

Ma ci sono altre pratiche dannose che aumentano tale dipendenza, come la confisca dei passaporti dei lavoratori e il debito dei lavoratori per le loro spese di assunzione. Inoltre gli scioperi sono proibiti.

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Tutti questi fattori contribuiscono a "circostanze di lavoro forzato, rendendo praticamente impossibile per i lavoratori lasciare i datori di lavoro abusivi, nonostante spesso debbano sopportare il mancato pagamento del salario, lunghi orari di lavoro, condizioni di lavoro pericolose e condizioni abitative al di sotto degli standard", si legge nel rapporto.

Ai lavoratori viene detto che possono andarsene e lavorare per un'altra azienda se tornano a casa e pagano di nuovo le spese di assunzione a un'altra azienda, anche se molti spesso non hanno accesso al proprio passaporto.

Stando ai ricercatori di HRW sette delle persone con cui hanno parlato hanno detto che i loro datori di lavoro hanno deliberatamente trattenuto i salari come "depositi di sicurezza", che è una pratica che l'Organizzazione Internazionale del Lavoro considera lavoro forzato.

Altre aziende, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, hanno scoperto che a volte non sono in grado di pagare i loro lavoratori perché anche loro sono in attesa di essere pagate.

La pratica del "pay-when-paid" non è una pratica unica in Qatar, ma il Paese deve ancora creare leggi che affrontino i salari non pagati che ne sono il risultato.

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Il sistema di sponsorizzazione al centro delle violazioni dei diritti

Nel 2014 c'è stata una protesta globale dopo che diverse indagini hanno mostrato gli abusi dei lavoratori migranti in Qatar. Spinto dalle pressioni dell'opinione pubblica e dalla stessa FIFA, il Paese si è mosso per migliorare le proprie leggi sul lavoro.

Nel 2017 il Qatar ha detto che avrebbe abolito il sistema kafala. Tuttavia, non l'ha ancora fatto e i cambiamenti sono stati minimi. Solo a partire dal 16 gennaio 2020 il Qatar ha abolito l'obbligo per i lavoratori di chiedere ai loro datori di lavoro un permesso per lasciare il paese.

Negli ultimi sette anni Sam è tornato a casa solo due volte per vedere sua moglie e sua figlia da quando è stato vincolato dal sistema kafala. Sua figlia ha 8 anni, e Sam ha perso quasi tutta la sua infanzia. Un prezzo alto da pagare per poter provvedere alla sua famiglia.

Anche se il sistema kafala si sta indebolendo, "i datori di lavoro sono ancora responsabili di assicurare, rinnovare e cancellare i permessi di soggiorno per i lavoratori migranti, e sono quindi ancora in grado di limitare gravemente la loro possbilità di cambiare lavoro". Il sistema kafala concede ai datori di lavoro poteri incontrollati sui lavoratori migranti, permettendo loro di sottrarsi alla responsabilità per le violazioni del lavoro e dei diritti umani, e lascia i lavoratori in debito e nel costante timore di ritorsioni", dice il rapporto di HRW.

La dipendenza dei lavoratori dai loro datori di lavoro li spinge a non protestare se non ricevono il salario, se vogliono chiedere un aumento o anche un periodo di tempo libero. Sam ha detto a Euronews: "Se hai un problema e ti lamenti, possono mandarti a casa. Possono metterti in una specie di campo di deportazione".

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Di recente Sam dice di avere svolto turni di 12 ore di fila per tre settimane senza un solo giorno di riposo. Sa che chiedere un giorno di riposo non lo porterebbe da nessuna parte e dice di essere fondamentalmente soggetto alla clemenza del suo supervisore.

Un sistema di protezione del salario imperfetto

Negli ultimi cinque anni, il Qatar ha implementato tre meccanismi principali per aiutare i lavoratori a reclamare il denaro che gli è dovuto e a risolvere le controversie salariali. Nel 2015 ha introdotto un sistema di protezione dei salari (WPS), che è fondamentalmente un software che avvisa i funzionari quando un'azienda non ha pagato i suoi datori di lavoro in tempo o non li ha pagati abbastanza.

Il software non penalizza, ma si limita a monitorare i pagamenti e ad avvisare le autorità che devono poi seguire e indagare. I casi così accumulano uno sull'altro creando ritardi e inefficenze.

Un'altra pecca del sistema è che segnala una transazione insufficiente solo se è inferiore a 50 riyal (circa 11,60 euro), cifra non sufficiente per vivere in un paese tra i più ricchi del mondo su base pro capite.

Inoltre, Javaid lamenta che i lavoratori non ricevono le buste paga. "Se avessero queste buste paga, potrebbero vedere quanto del loro denaro viene detratto su quale base. E poi avrebbero le prove e potrebbero portarle in tribunale", osserva.

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Nel 2018 il Qatar ha istituito la Commissione per la risoluzione delle controversie in materia di lavoro, a cui i lavoratori dovrebbero rivolgersi per poter recuperare rapidamente i soldi che gli sono dovuti, invece di dover affrontare lunghi processi civili. Nello stesso anno ha anche approvato una legge che ha istituito un fondo per aiutare a pagare rapidamente coloro che hanno vinto una causa.

Tuttavia, quel fondo non è pienamente operativo e secondo Javaid "dei 93 lavoratori con cui abbiamo parlato, ne conosciamo 15 che sono andati in tribunale per cercare di risolvere le loro diverse questioni salariali. Di questi 15, solo uno è stato in grado di ottenere una parte dei suoi soldi".

Contatta da Euronews, la Fifa ha detto che sta lavorando a stretto contatto con il Comitato Supremo in Qatar, che supervisiona tutti i progetti di costruzione e infrastrutture.

"Un'area di discussione negli ultimi mesi è stata l'intervento del governo per far rispettare la protezione dei salari e l'efficacia del Fondo di sostegno e di assicurazione per i lavoratori", si legge nel comunicato della federcalcio mondiale.

Quali passi nella giusta direzione?

Alla luce degli sforzi del Qatar per rettificare e fissare le leggi sul lavoro, Javaid dice che il Paese ha iniziato a fare alcuni passi nella giusta direzione.

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Tuttavia osserva che ci sono due problemi. In primo luogo, questi tre sistemi (il WPS, il Comitato per la risoluzione delle controversie sul lavoro, il Fondo per il sostegno ai lavoratori e l'assicurazione) "non vengono usati in modo efficace". L'altro problema è che, anche se questi sistemi sono stati implementati perfettamente, è improbabile che combattano gli abusi salariali a causa del quadro più ampio che consente tutti questi abusi salariali. E quel quadro più ampio è il sistema kafala".

Secondo Javaid, i migranti che lavorano sotto la protezione della FIFA e del Comitato Supremo del Qatar sono trattati meglio di molti altri. "Questo stabilisce un precedente positivo. Fondamentalmente è come dire che possiamo trattare meglio i nostri lavoratori se vogliamo farlo".

Tuttavia, fa notare, i dipendenti che lavorano sotto l'ombrello della FIFA sono una minoranza e anche tra questi sono stati segnalati casi di abusi salariali.

Uno di questi è stato portato all'attenzione della FIFA da Human Rights Watch. La federcalcio ha fatto sapere che sta collaborando con il Consiglio Supremo nell'investigazione di questo caso e "prenderà le misure appropriate per affrontare qualsiasi illecito".

Sam, che è stato in Qatar abbastanza a lungo per vedere se un cambiamento sta effettivamente avendo luogo, ha detto a Euronews che nulla è cambiato. "Se le cose fossero cambiate davvero sarebbe più facile passare da un'azienda all'altra, per esempio".

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Il governo del Qatar ha replicato dicendo che il rapporto di Human Rights Watch "contiene ripetute imprecisioni" e che sono pochi i casi di lavoratori vittime di abusi.

"Ci sono alcuni casi isolati in cui i lavoratori sperimentano questo problema - si legge nel comunicato del Qatar - questi casi sono diminuiti in quanto le leggi e i regolamenti hanno determinato un cambiamento fondamentale e duraturo".

"Il programma di lavoro del Qatar - continua il comunicato - protegge tutti i lavoratori in tutte le fasi del loro ciclo lavorativo. Il successo del nostro approccio è evidente nei risultati ottenuti finora e nell'impatto positivo che sta avendo su centinaia di migliaia di lavoratori"

*Nome cambiato per proteggere la sua identità

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