Cina-USA nessuna guerra fredda: "Tanta retorica e qualche fatto"

Donald Trump e Xi Jinping
Donald Trump e Xi Jinping Diritti d'autore JIM WATSON/AFP or licensors
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Di Gioia Salvatori
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Quali scenari si profilano mentre Cina e Stati Uniti entrano in una fase ancora più tesa delle loro relazioni? Lo abbiamo chiesto a tre esperti, per il professor Gabusi la retorica è forte ma ci saranno anche conseguenze nell'assetto dell'economia globale

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Ore di strali e minacce incrociate. Mentre ancora si contano i morti per il coronavirus, Cina e Stati Uniti ingaggiano una nuova battaglia dopo una breve tregua causa pandemia di coronavirus; tutto è ricominciato con le accuse statunitensi ai cinesi, mai provate, di essersi fatti sfuggire il coronavirus da un laboratorio di Wuhan; la febbre nelle relazioni tra i due Paesi è risalita fino a ieri quando, mentre migliaia e migliaia di persone ad Hong Kong manifestavano contro la Cina, il ministro degli esteri di Pechino, Wang Yi, diceva: "Cina e Usa sono a un passo da una nuova guerra fredda". La tempistica non è casuale, da sempre la Cina accusa Washington di supportare i manifestanti di Hong Kong che ora vuole reprimere con una nuova legge sulla sicurezza. In risposta alla legge liberticida Washington ha minacciato sanzioni.

Gli Stati Uniti probabilmente imporranno sanzioni alla Cina se Pechino attuerà la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong
Robert O'Brien
segretario alla sicurezza nazionale di Donald Trump

"Molta retorica e qualche fatto ma siamo alla fine dell'iper-globalizzazione"

Ma oggi, un'altra guerra fredda è possibile? Ed Hong Kong è finita al centro di una faida? Per Giuseppe Gabusi docente all’università di Torino di economia politica internazionale e socio fondatore di TWAI.it "nelle parole c'è molta retorica, seguirà qualche fatto".

"Credo che il ministro degli esteri cinese facendo riferimento a una nuova guerra fredda volesse parlare al pubblico statunitense e più in generale all’opinione pubblica occidentale sottolineando che si è a un punto di non ritorno. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi, sono stati fugati. Molto interessante la seconda parte dell' affermazione del ministro degli esteri Wang Yi quando dice 'gli Stati Uniti non cerchino di cambiare la Cina', vuole sottolineare che non devono ostacolare il progresso che il partito ha garantito".

Gabusi, siamo in una fase due, quella post-coronavirus, più dura, della guerra a distanza tra Cina e Stati Uniti? "Questo è l’effetto di quella che io chiamo l’illusione liberale: si pensava che la Cina liberalizzando i commerci si sarebbe liberalizzata politicamente e sarebbe diventata un regime politico forse addirittura democratico. Questo processo, però, non si è realizzato e l'opinione pubblica americana ora vede che un partito che si chiama comunista si è addirittura rafforzato e non dà segnali di cedimento. Questo, insieme all'impoverimento di certe fasce della popolazione americana, ha generato un movimento anti-cinese: l'opinione pubblica negli Stati Uniti si è chiesta 'dov’è finita la nostra industria? In Cina', ma non si è domandata perché. Il coronavirus ha accelerato un trend in corso, un blame game. C’è un a parte dell' amministrazione americana, penso a Peter Navarro, che dice che è ora di fermare la Cina, ora o mai più. In più c’è l’anno elettorale...".

Se gli Usa continuano a danneggiare gli interessi della Cina, allora la Cina prenderà le necessarie contromisure
Zhao Lijian
portavoce del ministero degli esteri cinese

Ma con i fatti fino a che punto possono arrivare i due governi? Le economie statunitense e cinese, sono strettamente interconnesse. "Certo la Apple ha tutti i fornitori in Cina, quindi dal giorno alla notte non si può rompere un legame costruito in 40 anni – spiega Gabusi - E sull'ipotesi di non rimborsare la Cina come acquirente del debito americano, Trump ha risposto che questo metterebbe in crisi la 'santità' del dollaro 'l’importanza della più grande valuta sulla terra' (ribadendo, ndr, di preferire i dazi per colpire il celeste impero). Penso che siamo alla fine di un ciclo della globalizzazione a guida americana basata sulla Cina come fabbrica del mondo e che si vada verso un mondo con tre macro-regioni: Asia orientale, Stati Uniti ed Europa, regioni che magari tra di loro commerceranno un po’ di meno e saranno concentrate, vedi il caso delle mascherine, un po’ di più su una produzione interna. L’iper-globalizzazione è forse finita".

Il debito americano non è un'arma in mano alla Cina

Un elemento deterrente nella guerra tra Cina e USA potrebbe essere il debito americano? La Cina ne detiene circa 1,08 trilioni di dollari al secondo posto, dietro al Giappone che ne detiene 1,27 trilioni di dollari per un debito pubblico totale che si attesta sui 25 trilioni e che ovviamente rischia di galoppare trainato dalla crisi del coronavirus. La Federal reserve sta finanziando buona parte del debito ma è evidente che gli USA avranno bisogno di acquirenti e la Cina è storicamente un acquirente. La Cina potrebbe immettere sul mercato debito americano a prezzi di saldo per 'vendicarsi'?

Secondo la professoressa Lucia Tajoli, docente di politica economica al Politecnico di Milano, certo la Cina potrebbe, non ci sono vincoli che lo vietino, ma ha "poco interesse" a farlo perché anche Pechino è in un momento di difficoltà economiche e "svalutando titoli che possiede, certo danneggia gli Stati Uniti ma prima di tutto se stessa". E dall'altra parte del Pacifico se gli Stati Uniti non rimborsassero il debito "perderebbero credibilità su tutti i mercati e questo sarebbe grave per gli USA: chi comprerebbe i loro titoli, dopo?", dice Tajoli.

Forse gli Stati Uniti potrebbero smettere di rimborsare la Cina dopo aver cercato alleati a cui vendere il loro debito, ridisegnando alleanze internazionali in chiave anti-cinese? "Arginare la Cina è sicuramente un tema - risponde Tajoli - ma in questo momento di crisi economica generalizzata nessun Paese ha la possibilità di acquistare titoli americani per volumi importanti. Dunque questa strategia potrebbe essere messa in atto in altri periodi e comunque non da questa amministrazione. Teoricamente gli Stati Uniti potrebbero allearsi con l'UE, con il Giappone per contenere la Cina ma questa amministrazione, chi impone e minaccia dazi all'UE, non ha la forza per farlo".

E con il Giappone? "La prima cosa che ha fatto Trump come presidente è stato cancellare l’accordo trans-Pacifico, Trump non considera il Giappone nonostante sia una delle più importanti potenze economiche mondiali, nella sua logica sembra essersi dimenticato che esista..."

La Cina? Dobbiamo solo sperare che il sistema tenga...

Per Federico Masini, sinologo, docente all'Università La Sapienza di Roma, sia Cina che Stati Uniti hanno problemi di politica interna e quindi induriscono i toni. La Cina è fondata sul progresso economico il patto sociale sta nel miglioramento delle proprie condizioni, se questo dovesse venire meno il sistema "entrerebbe in una fase pericolosa".

Masini, Hong Kong è finita al centro di una faida tra USA e Cina? "No, Hong Kong ora è una minaccia reale per la Cina, anche se le notizie che arrivano da Hong Kong sono ben filtrate nel continente; dobbiamo tenere presente che il conflitto a Hong Kong è su base economica: chi non ha il passaporto canadese o britannico vede che non ci sono più prospettive di sviluppo economico e questo è alla base di quello che la Cina giudica in primis un moto indipendentista. In Cina ci sono vari focolai di protesta, noi ci dovremmo augurare che non si inneschi un effetto domino: dobbiamo solo sperare che un sistema così complesso, che domina un miliardo e mezzo di persone, non collassi perché questo spingerebbe milioni verso difficoltà economiche".

Cina-Usa, è il paradosso di due economie interconnesse e in competizione? "Nel giro di pochi anni la Cina non sarà più la fabbrica del mondo ma fonte di brevetti e scoperte scientifiche. Gli Stati Uniti sono anche per questo in competizione con la Cina. La fisica è un esempio: la Cina sta finanziando molto la ricerca pura e sappiamo che produce effetti sul lungo periodo e medio. Gli Stati Uniti non lo fanno nella stessa misura - afferma Masini - Quando Pechino parla di essere a un passo da una nuova guerra fredda mi colpisce molto: sono parole forti, indice di un atteggiamento diverso della politica estera cinese in questa fase. La pacatezza delle esternazioni era nota ma negli ultimi tempi si reagisce a voce alta ad altrettanto forti esternazioni che arrivano dall’altra parte dell’oceano".

Masini quale può essere un deterrente? "L’unico deterrente è l’economia americana: ormai nel contesto internazionale né Stati Uniti né Cina sono in grado di vivere in un mondo dominato dal protezionismo, l'economia farà in modo che la guerra fredda non si realizzi".

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