"Padre di Jobs sarebbe dovuto tornare indietro", Silicon Valley contro decreto Trump

"Padre di Jobs sarebbe dovuto tornare indietro", Silicon Valley contro decreto Trump
Di Salvatore Falco

Levata di scudi dalle compagnie della Silicon Valley contro l’ordine esecutivo di Donald Trump sull’immigrazione.

Levata di scudi dalle compagnie della Silicon Valley contro l’ordine esecutivo di Donald Trump sull’immigrazione. E non solo a parole.

Se la catena Starbucks promette di assumere 10.000 rifugiati nei prossimi 5 anni, Airbnb offrirà una sistemazione gratis “a chiunque non sia consentito di entrare negli Stati Uniti”.

Uber sta creando un fondo di difesa legale da 3 milioni di dollari per i suoi autisti e Google stanzia un fondo da 4 milioni di dollari per gli immigrati e i rifugiati colpiti dalla misura del neo presidente. Il numero 1 di Mountain View, Sundar Pichai, nato in India, ha detto che 200 dipendenti sono rimasti bloccati dal blocco.

È indiano anche Satya Nadella, leader di Microsoft. L’azienda denuncia il rischio di non riuscire a completare i team di ricerca e sviluppo, andando così a ledere l’innovazione.

Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ricorda che i suoi bisnonni provenivano da Germania, Austria e Polonia. I genitori di Priscilla erano profughi provenienti dalla Cina e dal Vietnam.

Twitter, il social network più amato dal Presidente, spiega a Trump di essere dalla parte degli immigrati e il capo di Linkedin, Jeff Weiner, ricorda che quasi la metà delle più grandi compagnie statunitensi è stata fondata da immigrati o figli di immigrati.

“Apple non esisterebbe senza l’immigrazione”, ha scritto l’amministratore delegato Tim Cook, in un documento interno.

Steve Jobs, fondatore del marchio Apple, era figlio di un immigrato siriano e suo padre, oggi, sarebbe dovuto tornare indietro.

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