Domenico Lombardi, direttore del Luiss Policy Observatory, definisce l’aumento della spesa per la difesa fino al 5% del Pil un impegno rilevante che deve passare da una maggiore efficienza nella spesa pubblica e dal rafforzamento della lotta all’evasione
L’impegno assunto pochi giorni fa dall’Italia, insieme agli altri Paesi della Nato, di destinare fino al 5% del Pil annuo alla spesa per la difesa continua a far discutere. A preoccupare sono le stime sull’impatto che questo aumento potrebbe avere sulle finanze pubbliche di un Paese già fortemente indebitato. Ne abbiamo parlato con Domenico Lombardi, direttore del Luiss Policy Observatory.
Il peso sui conti pubblici
Quanto inciderà realmente l’aumento delle spese militari sui conti dello Stato? Secondo il ministro dell’Economia Giorgetti, si passerebbe dagli attuali 46 miliardi a circa 110 miliardi l’anno. Una stima ancora più elevata è stata fornita dalla leader del Partito Democratico Elly Schlein, che nel dibattito alla Camera del 23 giugno ha parlato di un incremento di 87 miliardi all’anno.
Il governo Meloni ha più volte rassicurato che gli italiani non pagheranno il prezzo di questi investimenti. Giangiacomo Calovini, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Esteri, intervistato da Euronews ha rassicurato che “non verranno sacrificate le risorse già destinate a welfare e sanità”, ma che i nuovi fondi proverranno da strumenti messi a disposizione dall’Unione Europea. Ma è davvero così? lo abbiamo chiesto al professor Lombardi.
Più difesa, ma a quale costo?
“Non è pensabile che l’aumento delle spese militari venga finanziato con tagli indiscriminati al welfare o alla sanità, settori essenziali per il benessere della società”, ha spiegato Lombardi. “Presumo che il governo punterà piuttosto a trovare margini di efficienza nella spesa pubblica, che in Italia è molto ampia, e nel sistema tributario, attraverso un rafforzamento della lotta all’evasione fiscale, che sta già dando qualche risultato positivo”.
“Il passaggio dal 2% al 5% del PIL rappresenta un impegno di bilancio particolarmente rilevante”, prosegue Lombardi, “e merita un confronto serio sia politico che sociale”.
A suo avviso, il campo d’applicazione della nuova spesa è molto più ampio della sola componente militare. “Rientrano investimenti in cybersicurezza, intelligenza artificiale e tecnologie avanzate. Al 3,5% da raggiungere entro il 2035, va poi aggiunto un ulteriore 1,5% per spese legate alla sicurezza in senso lato, incluse infrastrutture con valenza anche civile.”
Il ruolo dell’Europa
Secondo Lombardi, il terzo pilastro fondamentale sarà lo sforzo europeo. “Si tratta di un impegno che l’Italia ha negoziato in sede Nato ed europea. Ma va considerato che non tutti i Paesi hanno la stessa capacità fiscale: alcuni, come l’Italia, sono ancora sotto procedura di infrazione.”
“Bisogna interrogarsi su questo punto: o riconosciamo che esiste una minaccia comune che richiede una risposta condivisa, oppure non possiamo chiedere ai singoli Stati membri - specie quelli più fragili - di sostenere da soli l’onere finanziario. L’Europa dovrà quindi valutare la possibilità di allentare o ricalibrare i vincoli di bilancio.”
Infine, il tema della clausola di salvaguardia: “L’Italia è sotto procedura per deficit eccessivo. Non le si può chiedere un’eccezione per affrontare una minaccia comune, scaricando su di essa tutto il peso del finanziamento. Se il piano di riarmo è un obiettivo europeo, la domanda è: come intende l’Ue sostenere concretamente i propri Stati membri per raggiungere questo traguardo?”.