Un’analisi sul fragile cessate il fuoco tra Iran e Israele, le capacità missilistiche residue di Teheran e il ruolo di Mosca nel mediare la tregua. Intervista all’analista geopolitico, esperto di intelligence e Medio Oriente, di origini iraniane Nima Baheli
Il margine offensivo dell’Iran: scorte missilistiche per circa un mese
Un cessate il fuoco entrato in vigore, ma pur sempre in bilico. Una pausa che impone una riflessione non solo sulla tenuta stessa del cessate il fuoco, ma anche sulle reali capacità difensive dei Paesi finora coinvolti nel conflitto e sui rapporti di forza in Medio Oriente, inclusi gli attori che hanno partecipato in maniera indiretta.
Ne abbiamo parlato con Nima Baheli, analista di geopolitica ed esperto di Medio Oriente. A lui abbiamo chiesto, alla luce degli ultimi sviluppi, quale sia lo stato attuale dell’arsenale missilistico di Teheran. “La Repubblica Islamica ha una capacità di circa 1.500-2.000 missili balistici residui. Si stimava che prima del conflitto la capacità fosse di 2.000-3.000”, spiega a Euronews Baheli, “per cui una stima prudenziale tra missili fuori uso e missili utilizzati è di circa 600 unità. Al ritmo di una cinquantina di missili al giorno, l’Iran poteva tranquillamente portare avanti una strategia di pressione su Israele per un mese, un mese e mezzo.”
Parlando invece di Israele, “per abbattere uno di questi missili iraniani”, continua Baheli, “servivano dai dieci ai dodici missili israeliani. Studi effettuati in questi giorni indicano che la capacità antiaerea israeliana, nel giro di circa due settimane, sarebbe andata affievolendosi”. L’Iran, quindi, poteva portare avanti una strategia di pressione e deterrenza per circa un mese, mentre la pressione sulle riserve israeliane sarebbe aumentata.
Secondo Baheli, senza l’intervento statunitense il conflitto si sarebbe prolungato per un tempo indefinito, sfociando in una situazione di stallo, in cui nessuna delle due potenze sarebbe stata in grado di ottenere una supremazia o di riuscire ad abbattere completamente l’avversario.
Intervento degli Stati Uniti risolutivo per la tregua
Per Baheli, l’intervento sui siti nucleari iraniani è stato decisivo per la tregua, offrendo un’uscita di scena “onorevole” a entrambe le parti. “Da un lato ha sedato le preoccupazioni israeliane sul programma nucleare iraniano e, dall’altro, con la risposta che l’Iran ha dato colpendo la base in Qatar, ha fatto salvare la faccia alla Repubblica Islamica, che ha dichiarato di aver reagito.”
Sull’efficacia dell’attacco ai siti nucleari, le versioni fornite in questi giorni sono state diverse. Baheli sostiene che non sia andato sufficientemente in profondità. “È abbastanza verosimile che l’attacco sia stato prettamente simbolico nel caso di Fordow, mentre negli altri due siti è plausibile che le centrali siano state danneggiate. Ma a Fordow è probabile che le capacità si siano mantenute. Tra l’altro si ipotizza che il materiale sia stato spostato prima dell’attacco.”
I limiti dell’alleanza tra Teheran, Mosca e Pechino
“Mosca e Pechino hanno dato un supporto più formale e diplomatico”, sostiene Baheli. “Mosca ha giocato un ruolo nella mediazione, ed è probabile che la tregua sia stata favorita proprio dai russi. Al momento, però, la Russia ha delle resistenze strategiche e tattiche nell'entrare in un conflitto con Israele. È vero che è alleata dell’Iran, ma ci sono circa un milione e mezzo di israeliani di origine russa in Israele, legati a Mosca, di cui Putin si considera difensore.”
Non va sottovalutata nemmeno la dimensione tattica. “La Russia è abbastanza bloccata dal conflitto in Ucraina, e l’aiuto che in altre circostanze avrebbe potuto offrire all’Iran, questa volta non è riuscita a fornirlo.” Entrambe le potenze, prosegue Baheli, “hanno scommesso sul fatto che la crisi si sarebbe risolta prima di un mese e mezzo. Pensavano che l’Iran sarebbe riuscito a gestirla da solo e, per questo, si sono limitate a fornire una copertura antiaerea, lasciando la gestione diretta agli iraniani.”
I rischi che corrono l’Italia e l’Europa nel caso il conflitto si riaccendesse
“Dal punto di vista di una guerra simmetrica e convenzionale, l’Iran ha maggiore capacità di colpire le basi americane nel Golfo Persico e in Medio Oriente, che rientrano nel raggio dei suoi missili. Alcuni modelli teoricamente potrebbero raggiungere Sigonella, ma non è uno scenario semplice da realizzare. Escluderei un attacco convenzionale.”
Per Baheli, un’ondata di attacchi terroristici sarebbe stata più probabile. “È qualcosa che teoricamente potrebbe accadere, ma alla luce dei rapporti storici tra Teheran, Roma e ancora di più - il Vaticano, mi sento di escluderlo. Certo, i cosiddetti lupi solitari restano una possibilità, ma l’attivazione di cellule dormienti in Italia la escluderei.”
“Diverso è il discorso per Germania, Francia e Regno Unito, dove uno scenario simile potrebbe essere più plausibile. La Repubblica Islamica ha una rete di persone non necessariamente di cittadinanza iraniana che, in passato, hanno condotto operazioni terroristiche. Ma non in un contesto di tregua come quello attuale.”Secondo Baheli, da parte iraniana al momento c’è interesse a mantenere il cessate il fuoco.
Il futuro dei negoziati sul nucleare
“Vance ha dichiarato di voler avviare negoziati diretti. Alla luce del conflitto, è probabile che si passi da trattative indirette a un confronto senza intermediari.”Il nodo più delicato, tuttavia, resta quello del diritto iraniano all’arricchimento dell’uranio.
“Non credo che gli iraniani vogliano rinunciarvi, e questo sarà uno dei punti di attrito principali. Gli Stati Uniti potrebbero mantenere una posizione più morbida dopo aver comunque colpito e indebolito parte delle capacità iraniane.”
Paradossalmente, secondo Baheli, la dimostrazione di forza degli Stati Uniti potrebbe riaprire il canale negoziale. “Alcuni giorni prima dell’attacco, le delegazioni dovevano incontrarsi in Oman, e si pensava di essere vicini a un accordo. L’offensiva ha fatto saltare tutto, ma potrebbe anche essere il punto da cui ripartire.”