Loro protestano, lui non ascolta: 100 giorni dopo, in Bielorussia siamo a un "punto morto"

Una manifestazione in Piazza Indipendenza a Minsk, Bielorussia, il 19 agosto scorso
Una manifestazione in Piazza Indipendenza a Minsk, Bielorussia, il 19 agosto scorso Diritti d'autore Dmitri Lovetsky/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved
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Di Orlando Crowcroft
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La situazione è ad un punto morto: le autorità non sono disposte ad un dialogo basato sulle premesse dell'opposizione, e l'opposizione non può offrire altro che manifestazioni di massa per le strade. Come se ne esce?

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Sono passati 100 giorni dalla rielezione di Alexander Lukashenko: un'elezione truccata in cui il leader bielorusso ha ottenuto un improbabile 80% dei consensi. Eppure, nonostante la repressione della polizia sia sempre più violenta, il movimento di protesta non accenna ad arretrare di un passo. 

Il problema è che sembra non essere in grado neanche di avanzare. A più di tre mesi dallo scrutinio del 9 agosto, la verità è che in Bielorussia si vive una situazione di stallo.

Lukashenko, sostenuto da Mosca, rimane al potere, mentre i suoi principali oppositori politici restano in esilio o in prigione. Per le strade, invece, continuano gli abusi contro i manifestanti.

Il 12 novembre scorso, Raman Bandarenka, 31 anni, è deceduto dopo un pestaggio della polizia. L'Unione europea ha condannato l'episodo, ha chiesto la fine della repressione delle proteste e insasprito le sanzioni contro Lukashenko, la sua famiglia e il suo entourage.

Lukashenko non ha nemmeno menzionato la morte di Bandarenka durante un'intervista ai media statali del giorno successivo. Ha sostenuto che i disordini per le strade di Minsk e di altre città bielorusse fossero illegittimi, paragonandoli ad altre "rivoluzioni di colore" sostenute dall'Occidente in altre parti dell'Europa post-sovietica.

"Valutiamo inequivocabilmente gli eventi che si stanno verificando nel Paese dopo le elezioni come un tentativo di colpo di Stato incostituzionale", ha detto Lukashenko.

Ma nonostante tutto, nonostante i 17mila arresti e un numero incalcolabile di pestaggi, le proteste nel Paese continuano.

"Bisogna capire che sono prima di tutto 'contro'. Sono contro Lukashenko, e per tutti. Questo pensa la maggior parte dei bielorussi", dice a Euronews Ales Kirkievicz, giornalista, scrittore e membro del consiglio del Fronte del Popolo bielorusso.

Nessuna vera alternativa

Ma forse è proprio questo il problema.

Negli ultimi 26 anni, Lukashenko ha purgato sia i suoi avversari che i suoi potenziali successori, creando intorno a sé un vuoto di leadership che esclude ogni rivale politico al di fuori della propria famiglia.

Nel frattempo, il parlamento bielorusso è stato in gran parte esautorato e contiene poche figure che potrebbero sostituire Lukashenko alla presidenza.

Il fatto è che, al momento, non c'è praticamente nessuno, sulla scena politica bielorussa, né tra l'entourage di Lukashenko né tra l'opposizione, che possa essere considerato un possibile successore.

"Da questo punto di vista, le cheerleader delle proteste non sembrano avere un vero peso politico e molto probabilmente avranno solo un ruolo transitorio", indica Rumen Dobrinsky dell'Istituto di studi economici internazionali di Vienna.

C'è, naturalmente, Svetlana Tikhanouskaya, che è arrivata seconda alle elezioni del 9 agosto - anche se i dati in possesso dell'opposizione mostrano come abbia fatto molto meglio di quanto sostenuto dai risultati ufficiali.

Tikhanouskaya, attualmente in esilio, è considerata da chi è fuori dalla Bielorussia come la leader de facto, ma poco si sa del suo programma politico - al di là della volontà di convocare nuove elezioni.

"La gente ancora non sa cosa offre in particolare il suo programma, né come sarà la Bielorussia se diventerà presidente", continua Kirkievicz.

A tutto questo, aggiungete il fatto che lei stessa ha affermato di voler solo presiedere una transizione di potere, e che non si candiderà alla presidenza.

C'è poi Viktar Babaryk, un banchiere a cui è stato impedito di registrarsi alle elezioni ed è stato poi sbattuto in prigione (dove si trova tuttora).

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"È un leader forte, con una buona storia di gestione e capacità diplomatiche", aggiunge Kirkievicz. "Non si sa quanto sia cambiato durante il suo periodo in prigione, ma se le sue ambizioni politiche rimangono, penso che avrà una seria possibilità".

Non solo divisione sulle figure. L'opposizione è tutt'altro che unita anche sugli obiettivi della protesta.

Per le strade, la gente vuole che Lukashenko se ne vada, ma non sa chi lo sostituirà. Babaryk è in prigione, e il Consiglio di coordinamento (guidato da Tikhanovskaya) è in esilio e può avere scarso impatto sulla situazione sul campo.

Vicolo cieco

"Ecco perché in molti, tra cui la stesssa Tikhanovskaya, parlano di cambiare tattica, anche se non è ancora chiaro come. Per questo la situazione è ancora a un punto morto: le autorità non sono disposte ad un dialogo basato sulle premesse dell'opposizione, e l'opposizione non può offrire altro che manifestazioni di massa per le strade. Siamo in un vicolo cieco", ha detto Kirkievicz.

Al di fuori della Bielorussia, la pressione su Lukashenko sta aumentando. L'Ue ha imposto sanzioni a decine di funzionari; il 13 novembre scorso, Peter Stano, portavoce dell'Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha minacciato ulteriori conseguenze - comprese nuove sanzioni.

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Nel frattempo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha suggerito che la UE potrebbe premiare la transizione democratica in Bielorussia con mezzi economici.

"L'influenza economica dell'Europa è immensa. Spetta a noi fare un uso più strategico del nostro peso economico. Sta a noi prendere posizioni chiare e farle rispettare con azioni più forti", le sue parole.

Le industrie statali

Non è un caso che Von der Leyen abbia battuto sul tasto economico, dato che le prospettive economiche della Bielorussia sono fosche.

La Russia ha iniziato a ritirare i propri sussidi energetici, l'inflazione è alle stelle e il governo bielorusso sta esaurendo la liquidità. Gli analisti prevedono che la Bielorussia dovrà prendere in prestito 3,3 miliardi di dollari, circa il 7% del PIL totale del paese, nei prossimi 12 mesi. Questi soldi serviranno semplicemente per pagare il debito estero.

Una delle maggiori spese è rappresentata dalle massicce industrie statali che danno lavoro a migliaia di bielorussi e che sono sopravvissute solo grazie agli enormi sussidi governativi.

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Lukashenko non è in grado di privatizzare questi giganti inefficienti di proprietà pubblica, perché farlo porterebbe necessariamente a una disoccupazione di massa, e questo darebbe ancora più slancio al movimento di opposizione.

Dobrinsky sostiene che questi posti di lavoro fanno parte del contratto sociale tra Lukashenko e i bielorussi che, dal 1994, lo ha visto fornire stabilità e occupazione alla popolazione del Paese in cambio della mancanza di libertà politica - in quello che è di fatto un governo autocratico.

Quel contratto, tuttavia, appare oggi del tutto stracciato.

"A tutti gli effetti, questo sistema è crollato nel 2020, e ora ne vediamo le macerie per le strade di Minsk", ha detto Dobrinsky.

Il processo però è iniziato prima, con il distacco progressivo del leader dai bisogni comuni dei bielorussi.

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Poi è arrivata la pandemia di Covid-19 e Lukashenko si è rifiutato di introdurre misure di contenimento, anche contro il parere anche dei suoi stessi funzionari.

Le elezioni truccate sono state "la scintilla che ha acceso l'indignazione pubblica".

A tutto questo bisogna aggiungere Vladimir Putin, che non ha dimenticato che la Bielorussia ha firmato il Trattato sulla creazione dello Stato dell'Unione con la Russia quasi 30 anni fa, e che da allora sta facendo pressione su Lukashenko per ripiegarsi del tutto nell'abbraccio russo.

Le massicce sovvenzioni russe alla Bielorussia sono state soppresse proprio per far sì che Mosca esercitasse pressioni su Minsk.

Eliza Kania, politologa della Brunel University di Londra, ritiene che, data la totale dipendenza finanziaria di Lukashenko dalla Russia, è solamente il sostegno di Mosca che mantiene "l'ultimo dittatore d'Europa" in sella.

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"È molto probabile che, senza il sostegno di Mosca, Lukashenko non sarà in grado di mantenere la leadership. Internamente, conta sulla sua base politica più dura, e sta cercando di radicalizzarla per reprimere le proteste e terrorizzare l'opinione pubblica".

Putin ha avvertito ripetutamente che la Russia sarebbe intervenuta se ci fosse stato un tentativo da parte delle potenze europee di influenzare il cambio di regime in Bielorussia, mettendo in guardia dal "banditismo" degli "elementi estremisti" nel paese.

Se necessario, ha indicato Putin, la Russia potrebbe dispiegare le proprie forze dell'ordine in Bielorussia.

C'è speranza per l'opposizione?

"Lukashenko non ha più legittimità a livello sociale, né la fiducia del popolo bielorusso", continua Kania. "Le proteste in sé non cambieranno questa situazione a lungo termine, quindi la questione è come aggiornare le tattiche politiche, per creare uno spazio di negoziazione che vada oltre le proteste di strada".

Ma potrebbero esserci delle crepe nell'armatura russa forgiata per Lukashenko.

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Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha recentemente suggerito alla Bielorussia di attuare una "riforma costituzionale"; non solo, c'è sempre la possibilità che Lukashenko diventi un leader talmente "tossico" e inavvicinabile che ad un certo punto anche Mosca ne prenda le distanze.

Resta il problema di chi potrebbe sostituirlo al comando.

"In pratica, l'unica concessione di cui parla Lukashenko è la riforma costituzionale. In quale forma, nessuno lo sa", conclude Kirkievicz. "Lukashenko però non ha intenzione di rinunciare al potere né di andarsene, scappare o capitolare".

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