La Bielorussia accende la sua prima centrale nucleare fra le proteste

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Diritti d'autore Aksana Manchuk/BelTa
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Di Giulia Avataneo
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Costata 11,3 miliardi di euro è stata costruita dai russi, ad appena 20 chilometri dal confine con la Lituania che adesso distribuisce pastiglie di iodio ai residenti

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È uno dei progetti strategici per la Bielorussia di Alexander Lukashenko, ma viene contestato dalle Repubbliche Baltiche ed è una delle ragioni per cui la Lituania ha preso le parti della leader dell'opposizione Svetlana Tikhanovskaya dopo il contestato esito elettorale di agosto.

La Bielorussia ha la sua prima centrale nucleare, costruita dalla società russa Rosatom, finanziata in gran parte con un prestito di Mosca (è costata 9,3 miliardi) e inaugurata ad Ostrovets, ad appena venti chilometri dal confine con la Lituania.

Il ministro dell'energia ha annunciato ufficialmente che il primo reattore dell'impianto è stato collegato alla rete di fornitura del Paese. Il progetto prevede l'attivazione di due unità con una capacità totale di 2.400 MW. A pieno regime coprirà un terzo del fabbisogno nazionale, un passo decisivo verso l'obiettivo dell'autosufficienza energetica annunciato da Lukashenko.

Una questione politica

Contro la centrale si battono da anni le associazioni ambientaliste. La Lituania ha annunciato lo stop alle forniture dalla Bielorussia e la Lettonia dichiara che non acquisterà energia elettrica prodotta ad Astraviec.

Il ministro lituano degli Esteri, Linas Linkevicius, sostiene che il progetto è "geopolitico" e che è stato portato avanti senza considerare alcune questioni di sicurezza mai risolte. "La comunità internazionale non può restare indifferente", ha dichiarato.

Intanto Vilnius distribuirà pastiglie di iodio a mezzo milione di lituani residenti nella zona, dove è ancora fresco il ricordo dell'incidente della centrale di Chernobyl, che nell'86 ha contaminato un quarto del territorio bielorusso.

Ma il governo di Minsk liquida le proteste e la società che ha costruito l'impianto sostiene sia stato progettato per soddisfare i più moderni standard di sicurezza, i cosiddetti “post-Fukusima”.

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