Le proteste in Iran si sono allargate da Teheran fino a grandi città come Isfahan, Shiraz e Mashhad, mentre l'inflazione ha superato il 42 per cento a livello nazionale
Le proteste innescate dall’aggravarsi della crisi inflazionistica in Iran sono entrate nel loro quarto giorno consecutivo, estendendosi da Teheran a importanti città come Isfahan, Shiraz, Mashhad, Hamadan e Qeshm.
Decine di migliaia di iraniani, dai commercianti e mercanti dei bazar agli studenti universitari, sono scesi in piazza in diverse province.
L'inflazione ha superato il 42 per cento in tutto il Paese, tra il crollo del rial, la valuta locale e il rapido aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei beni di prima necessità.
Persino i gruppi allineati al regime hanno riconosciuto le difficoltà economiche del Paese.
I prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 72 per cento e quelli dei prodotti sanitari e medici del 50 per cento rispetto al dicembre dello scorso anno.
"Comprendiamo le proteste, sentiamo le loro voci e sappiamo che hanno origine dalle difficoltà di sostentamento delle persone", ha dichiarato il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, all'inizio di questa settimana.
Il governo si è astenuto dal minacciare i manifestanti, mentre i media del regime hanno evitato di diffondere notizie allarmanti.
Nel frattempo, martedì erano emerse notizie di diversi arresti, in particolare di studenti, ma oggi fonti giornalistiche locali hanno confermato che gli studenti detenuti sono stati rilasciati.
Il rial è scambiato ai minimi storici di circa 1,3 milioni di rial per dollaro statunitense sul mercato, con un calo di circa il 20 per cento nel solo mese di dicembre.
Nella vita quotidiana, gli iraniani indicano i prezzi in toman, un’antica moneta d’oro fuori corso utilizzata prima del 1932 ma ancora carica di valore emotivo, dove un toman equivale a dieci rial, così 100mila rial vengono comunemente chiamati 10mila toman.
Effetti a catena del conflitto Iran-Israele
Il malcontento è cresciuto a partire dal conflitto di 12 giorni tra Iran e Israele, avvenuto nel giugno 2025. Gli scontri sono iniziati quando Israele ha bombardato strutture militari e nucleari del Paese il 13 giugno, in un attacco a sorpresa che ha ucciso importanti leader militari, scienziati nucleari e politici.
L'Iran ha risposto con oltre 550 missili balistici e più di 1.000 droni kamikaze. Gli Stati Uniti sono intervenuti per intercettare gli attacchi iraniani e hanno lanciato attacchi aerei su tre siti nucleari iraniani il 22 giugno, in una delle offensive statunitensi più dirette sul territorio iraniano da decenni.
Teheran ha reagito lanciando missili contro una base statunitense in Qatar.
Sebbene il 24 giugno sia stato mediato un cessate il fuoco tra Iran e Israele, la pressione negativa sull’economia è proseguita a causa delle sanzioni, delle difficoltà fiscali e dell’instabilità valutaria.
Il fattore scatenante delle attuali proteste è economico, a differenza dei precedenti movimenti incentrati su questioni come l'obbligo dell'hijab.
Il fatto che il terzo giorno di proteste, mercoledì, sia coinciso con il "9 Dey", anniversario della repressione delle proteste post-elettorali del 2009, ha avuto un peso simbolico e ha spinto ulteriormente i manifestanti.
La comunicazione del regime durante i disordini è stata altalenante.
Alcuni funzionari governativi hanno affermato di "riconoscere il diritto alla protesta", mentre altri hanno cercato di fare una distinzione tra "manifestanti economici" e presunti "sabotatori", una distinzione che in passato ha spesso preceduto le repressioni.
Rabbia e disperazione in Iran sono palpabili
Con il potere d’acquisto che si dissolve, cresce rapidamente e in modo esponenziale il numero di persone che sentono di non avere più nulla da perdere.
Questo senso di disperazione ha trovato una potente espressione in un’immagine virale del primo giorno di proteste: un uomo seduto disarmato sull’asfalto, al centro della strada, di fronte alle forze di sicurezza.
L’immagine richiama in modo inquietante quella dell’uomo solo davanti ai carri armati durante le proteste di piazza Tiananmen, mettendo in luce la disperazione e l’umiliazione causate dalla crisi attuale agli iraniani.
Nella cultura iraniana, l’incapacità di provvedere alla propria famiglia comporta un peso emotivo particolarmente forte.
A differenza di molte proteste passate, le autorità non hanno imposto interruzioni generalizzate di internet né tagli ai servizi telefonici nelle prime fasi dei disordini.
Tuttavia, questi segnali non vanno interpretati come prova di un cambiamento strutturale o duraturo. La lunga esperienza delle istituzioni di sicurezza iraniane e dei media statali suggerisce che un ritorno alla repressione resta pienamente possibile.
Video che circolano sui social media, girati in particolare nelle regioni a maggioranza curda, mostrano interventi repressivi e uso della forza, sottolineando l’elevata sensibilità del regime verso i disordini in queste aree.
Nelle dichiarazioni ufficiali, il governo non ha affrontato le cause di fondo dell'insoddisfazione pubblica o la radicata crisi economica dell'Iran.
Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea hanno limitato le entrate petrolifere, al sistema bancario e le importazioni. Molti iraniani sostengono inoltre che i continui investimenti sull'esercito e sulla proiezione di potere nella regione sono andati a scapito dei redditi e della protezione economica dei cittadini comuni.
L'Iran teme nuovi attacchi israeliani e statunitensi
I timori di un'escalation militare si sono intensificati dopo l'ultimo incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Per molti iraniani, la prospettiva della guerra incombe ora accanto a tavole sempre più vuote, rafforzando un diffuso senso di insicurezza e la percezione che le priorità nazionali siano sempre più distaccate dalla realtà della vita quotidiana.
Tutto ciò si inserisce in un contesto di anni di sanzioni internazionali, in gran parte dovute all’ossessione del regime iraniano per il mantenimento dell’influenza regionale e globale, e al suo ripetuto coinvolgimento in conflitti ed escalation militari all’estero. Tutto questo ha reso l'Iran uno Stato economicamente emarginato.
La maggior parte degli iraniani dipende da salari modesti, che non tengono il passo con l’inflazione, da lavori informali o secondari e da risparmi familiari in progressiva erosione.
I consumi si sono sempre più orientati verso prodotti di produzione nazionale e beni di prima necessità, mentre i prodotti importati, dai medicinali all’elettronica, dal latte artificiale ai pezzi di ricambio, sono diventati proibitivi o mancano del tutto a causa delle restrizioni bancarie e della scarsità di valuta.
Molte famiglie integrano la dieta con prodotti agricoli locali, piccole coltivazioni o reti di sostegno familiare, mentre l’aumento dei costi alimentari ed energetici ha eroso costantemente il potere d’acquisto, spingendo una quota crescente della popolazione verso una condizione di precarietà.
Cosa succederà ora?
Non è chiaro quale strada sceglierà la leadership iraniana: aprire canali di dialogo per affrontare le rimostranze economiche o tornare ai metodi di repressione già noti.
Un recente avvertimento di Hesameddin Ashena, ex consigliere presidenziale, coglie questo dilemma. In un post sui social media, ha ammonito che se le autorità "provocano disordini, arriveranno altri disordini", aggiungendo che continuare a insistere sugli approcci del passato porterebbe inevitabilmente alla rivolta popolare.