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Al-Sisi: “L’Egitto non sarà mai un passaggio per la deportazione dei palestinesi”

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi Diritti d'autore  Mandel Ngan/AP
Diritti d'autore Mandel Ngan/AP
Di يورونيوز
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Il presidente Sisi respinge con fermezza ogni ipotesi di sfollamento di massa da Gaza verso l’Egitto e definisce la guerra una “pulizia etnica”. Crescono fame, morti e pressioni internazionali

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Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato con fermezza che l’Egitto non permetterà mai lo sfollamento forzato dei palestinesi attraverso il proprio territorio. Un messaggio chiaro a Israele e alla comunità internazionale, pronunciato durante una conferenza stampa congiunta al Cairo con il presidente vietnamita.

“L’Egitto non sarà un passaggio per la pulizia etnica o l’evacuazione forzata del nostro popolo a Gaza”, ha affermato Sisi, riferendosi al crescente rischio di deportazioni di massa dalla Striscia di Gaza verso il Sinai.

Quella che era iniziata come una campagna contro Hamas, secondo il leader egiziano, si è trasformata in una guerra totale contro il popolo palestinese.

“La guerra ha superato da tempo ogni logica o giustificazione. Non si tratta più di obiettivi politici o ostaggi, ma di una guerra di fame, di genocidio e di liquidazione della causa palestinese”, ha denunciato.

Una crisi umanitaria fuori controllo

Da oltre 21 mesi, la Striscia di Gaza è devastata da un conflitto che ha causato una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo il blocco quasi totale degli aiuti imposto da Israele a marzo, malnutrizione e fame diffusa colpiscono in particolare bambini e civili.

Anche il controverso sistema di distribuzione umanitaria istituito da Israele e Stati Uniti non è riuscito a garantire le necessità basilari. In alcuni casi, la disperazione per ottenere cibo ha portato alla morte di centinaia di persone.

Nonostante l’apertura parziale di alcuni corridoi umanitari via terra e per via aerea a fine luglio, l’Onu continua a definire gli aiuti “del tutto insufficienti” e avverte che la situazione è sull’orlo del collasso completo.

Il nuovo piano militare israeliano e il rischio escalation

Martedì, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele deve “completare la sconfitta di Hamas” prima della liberazione degli ostaggi ancora detenuti. Secondo fonti israeliane, è in discussione un nuovo piano militare, che potrebbe includere un’occupazione su larga scala della Striscia.

Nel frattempo, Hezbollah ha dichiarato che reagirà duramente a qualsiasi espansione del conflitto, promettendo ritorsioni dirette con razzi contro il territorio israeliano, mentre il presidente libanese Joseph Aoun ha sollecitato il gruppo a deporre le armi.

Pressioni diplomatiche e riconoscimento della Palestina

Di fronte alla catastrofe, cresce la pressione internazionale: diverse capitali occidentali si preparano a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina, anche se Stati Uniti e Israele restano contrari.

Le organizzazioni umanitarie, intanto, continuano a invocare l’ingresso immediato e senza ostacoli di cibo, medicinali e carburante, mentre la diplomazia cerca invano una via d’uscita.

Con le sue dichiarazioni, Sisi ribadisce una linea rossa invalicabile: “L’Egitto non sarà complice né testimone silenzioso di una deportazione di massa”.

Il messaggio è diretto: la protezione dei confini nazionali si intreccia con la difesa del diritto del popolo palestinese a restare nella propria terra, e la guerra - se non fermata -non solo uccide, ma cancella l’identità di un intero popolo.

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