Dalla normalizzazione mancata con l’Arabia Saudita allo scontro diretto con l’Iran, la strategia militare israeliana preoccupa gli alleati del Golfo e raffredda le speranze di un nuovo ordine regionale
Il Medio Oriente sta vivendo cambiamenti drammatici e l'emergere di un nuovo assetto militare, ma queste trasformazioni sono molto diverse da quelle che leader statunitensi e regionali si aspettavano fino a poco tempo fa, ha riferito il Wall Street Journal.
Prima degli attacchi di Hamas contro Israele del 7 ottobre, l’Arabia Saudita era vicina a un accordo per normalizzare le relazioni diplomatiche con Israele, dopo anni di difficili negoziati. Da un lato, l’intesa avrebbe potuto rafforzare la coalizione arabo-israeliana contro l’Iran, garantendo al contempo la protezione americana a Riad, dall’altro, avrebbe potuto aprire la strada all’accettazione di Israele nel mondo arabo e islamico.
Tuttavia, in soli dodici giorni, gli attacchi israeliani all’Iran hanno sconvolto i calcoli su cui si basava l’accordo. L'operazione sembra rappresentare la fase finale di una lunga serie di conflitti tra Israele e le milizie sostenute da Teheran, il cosiddetto “Asse della Resistenza”. Dopo il 7 ottobre, Israele ha lanciato un’imponente offensiva militare contro Hamas, per poi colpire Hezbollah, contribuire all’indebolimento del regime di Bashar al-Assad in Siria, prendere di mira gli Houthi in Yemen e infine attaccare direttamente l’Iran.
La nascita di un "nuovo Medio Oriente"
Nel frattempo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha più volte evocato la nascita di un “nuovo Medio Oriente”. Ma come ha dichiarato a Euronews Didier Billion, esperto di affari mediorientali e vicedirettore dell’Institut de relations internationales et stratégiques di Parigi: “Se il nuovo Medio Oriente promesso da Netanyahu è un Medio Oriente sotto gli stivali di Israele, dove tutti i problemi e le sfide si vogliono risolvere con la forza, si tratterebbe di una visione molto triste e tutt’altro che nuova”.
L’amministrazione Trump e il governo israeliano hanno dichiarato di voler riprendere il percorso di normalizzazione con l’Arabia Saudita. Tuttavia, con l’Iran in una posizione di apparente debolezza, è diminuita per Riad la spinta a ignorare altri temi sensibili come la creazione di uno Stato palestinese e la riduzione delle tensioni con Israele. I sauditi ora chiedono tempo per riflettere sulle implicazioni della superiorità militare e di intelligence di Israele, e sul livello di rischio legato all’uso di queste capacità.
Allo stesso tempo, i leader del Golfo temono che gli investimenti politici fatti con Washington – inclusa la sontuosa accoglienza a Trump durante la sua recente visita – non si traducano in un aumento della loro influenza. Il continuo sostegno dell’ex presidente agli attacchi israeliani e le minacce di Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, alimentano il timore di una guerra su vasta scala.
Alla fine, Trump ha autorizzato attacchi limitati contro impianti nucleari iraniani e ha poi mediato un cessate il fuoco. Come ha scritto su Truth Social, è stato lui a fermare l’assalto finale di Israele.
Anche se lo scenario peggiore – una guerra regionale su larga scala – non si è materializzato, i leader del Golfo stanno ora valutando se non sia il caso di ricalibrare la propria strategia.
“Tutto sta cambiando”, ha detto Badr al-Saif, professore all’Università del Kuwait ed esperto di affari del Golfo per il Chatham House Research Institute.
La superiorità militare di Israele preoccupa gli Stati arabi
Trump vuole approfittare del cessate il fuoco tra Iran e Israele per rilanciare gli Accordi di Abramo, firmati durante il suo primo mandato con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan.
Mercoledì, il suo inviato per il Medio Oriente, Steve Wietcough, ha dichiarato: “Uno degli obiettivi principali del presidente è espandere gli Accordi di Abramo. Stiamo lavorando affinché più Paesi si uniscano, anche quelli che nessuno avrebbe mai immaginato”.
Ma i principali ostacoli alla normalizzazione restano: l’Arabia Saudita ha chiarito che non firmerà alcun accordo fino alla fine della guerra a Gaza. Riyadh chiede anche un percorso credibile verso la creazione di uno Stato palestinese, una richiesta che Israele continua a respingere.
“Serve molto impegno e, al momento, le condizioni non sono adatte”, ha detto un funzionario saudita. “La nostra priorità è la creazione dello Stato palestinese, non la minaccia iraniana”.
Il nuovo equilibrio geopolitico complica la situazione. Il deputato repubblicano Zach Nunn ha affermato: “Le operazioni di Israele contro Iran e Hezbollah hanno spaventato i Paesi arabi. Temono le future mosse israeliane, che non approvano ma non possono controllare”. E ha aggiunto: “Israele è diventato vittima della sua stessa strategia aggressiva”.
Negli ultimi anni, la cooperazione con Israele per contenere Teheran aveva acquisito sempre più peso. Israele e i Paesi del Golfo sono entrambi bersaglio dei missili iraniani e devono affrontare le milizie sostenute dall’Iran in numerosi Paesi della regione.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono stati colpiti direttamente, Riad attribuisce a Teheran la responsabilità dell’attacco del 2019 contro due suoi impianti petroliferi. Gli Houthi hanno più volte colpito città saudite e, nel 2021, si sono spinti fino ai dintorni del palazzo reale. Anche gli Emirati sono stati presi di mira per il loro ruolo nella guerra in Yemen.
Nel 2023, con la mediazione cinese, i Paesi del Golfo avevano avviato un dialogo con l’Iran per abbassare le tensioni, cercando di evitare una nuova guerra dopo l’attacco di Hamas. Ma la campagna israeliana contro Teheran ha compromesso questo fragile equilibrio. L’eventualità di un cambio di regime ha riportato alla mente il caos seguito alla caduta di Saddam Hussein.
“Alcuni Paesi arabi avevano accolto positivamente l’indebolimento dell’Iran”, ha ricordato Billion. “Ma sono terrorizzati dalle conseguenze. La stabilità è fondamentale per il commercio, e oggi osservano con preoccupazione il caos che potrebbe esplodere”.
Tentativi di mediazione dei Paesi arabi tra Washington e Teheran
Anche dopo il cessate il fuoco, l’Arabia Saudita teme un collasso dell’Iran. Per evitare una nuova escalation, Arabia Saudita, Emirati, Qatar e Oman hanno tentato una mediazione tra Washington e Teheran. Anwar Gargash, consigliere del presidente degli Emirati, ha consegnato a Trump una lettera a marzo durante una visita a Teheran. In aprile, il fratello di Mohammed bin Salman ha incontrato Khamenei, ribadendo l’opposizione saudita all’uso della forza contro l’Iran.
Ma la diplomazia non ha funzionato: il 13 giugno è scoppiato il conflitto diretto tra Israele e Iran. Secondo fonti del Golfo, era stato chiesto agli Stati Uniti di frenare Israele, e inizialmente Washington aveva assicurato che non avrebbe partecipato.
Maria Fantappie, dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, ha spiegato: “L’Arabia Saudita, pur beneficiando della pressione su Teheran, teme ora di restare schiacciata. Il rischio è che Israele resti troppo forte, l’Iran non cada e Riad non riesca a crescere”.
I Paesi del Golfo hanno visto negli attacchi israeliani una violazione della sovranità iraniana. Anche dopo l’intervento americano, hanno mantenuto un linguaggio cauto per non irritare Trump. Hanno però diffuso un messaggio comune a favore della moderazione e della distensione, specie dopo l’attacco iraniano a una base Usa in Qatar.
“La guerra tra Israele e Iran è incompatibile con il nuovo ordine regionale che i Paesi del Golfo stanno cercando di costruire”, ha dichiarato Gargash. “L’obiettivo è la prosperità economica, non il conflitto”.
Alla vigilia dell’attacco americano lo stesso consigliere del presidente degli Emirati aveva avvertito: “Ci sono molti problemi nella regione. Se proviamo a risolverli tutti con la forza, non resterà nulla in piedi”.