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Gaza: come si muoveranno i Paesi arabi al vertice d'emergenza al Cairo

FILE: Un poliziotto egiziano si trova davanti a camion di aiuti umanitari per Gaza in un punto di parcheggio al Cairo, 26 gennaio 2025
FILE: Un poliziotto egiziano si trova davanti a camion di aiuti umanitari per Gaza in un punto di parcheggio al Cairo, 26 gennaio 2025 Diritti d'autore  AP Photo
Diritti d'autore AP Photo
Di Euronews
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I leader del mondo arabo si riuniranno al Cairo per un vertice d'emergenza su Gaza. L'obiettivo è trovare una posizione unitaria per contrastare il piano di Trump per la Striscia che prevede l'evacuazione forzata dei suoi abitanti palestinesi

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I leader di tutto il mondo arabo si riuniranno martedì al Cairo per quello che è stato descritto come un "vertice d'emergenza", per portare avanti una posizione unitaria per contrastare le recenti proposte del presidente statunitense Donald Trump sul futuro della Striscia di Gaza.

I piani controversi del tycoon propongono che gli Usa "occupino" l'area e a sfollino i suoi circa 2,1 milioni di residenti per creare una "riviera del Medio Oriente".

L'importanza di un vertice su Gaza ora

"Questa conferenza è estremamente importante perché intende dimostrare agli Stati Uniti e a Israele che l'intera regione ha un'alternativa", spiega Riccardo Fabiani, direttore del progetto per il Nord Africa presso il think tank International crisis group (Icg).

Tuttavia, altri sono più scettici. "Non è una sorpresa... Spesso si tengono vertici d'emergenza quando c'è qualcosa di preoccupante a livello regionale", ha dichiarato a Euronews l'accademico e analista palestinese Tahani Mustafa.

L'incontro era già stato rinviato giovedì scorso, per convogliare la maggior partecipazione possibile. Anche ora, mentre le delegazioni discutono sul tema, lo fanno partendo da posizioni molto diverse e proponendo soluzioni talvolta opposte.

Giordania ed Egitto probabili protagonisti

Sebbene ogni delegazione abbia le sue priorità, fra gli Stati più coinvolti nella ricerca di una soluzione ci sono la Giordania e l'Egitto.

Il Cairo, che ospita l'incontro, avrebbe "sviluppato un piano globale per la ricostruzione della Striscia, senza spostamenti della popolazione palestinese".

Uno dei motivi principali per cui i due Paesi sono ansiosi di fornire una proposta alternativa è che subirebbero l'impatto maggiore dei piani di Trump: infatti, la penisola egiziana del Sinai e la Giordania sono state proposte come luoghi in cui accogliere gli sfollati di Gaza.

Perché l'Egitto e al-Sisi si oppongono al piano per Gaza

Khaled Fahmy, professore egiziano di studi sull'area Mena alla Tufts University, sostiene che il piano di Trump sarebbe impossibile da attuare.

"Il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi si è opposto con fermezza a questa misura fin dall'inizio della guerra, anche prima degli annunci di Trump", ha spiegato. "La concessione del Sinai non è un'opzione sul tavolo, per quanto riguarda il Cairo".

Il Paese ha affrontato difficoltà economiche negli ultimi anni. L'afflusso di rifugiati, alcuni dei quali potrebbero essere combattenti di Hamas (tra le altre cose sono storicamente legati ai rivali interni di al-Sisi, i Fratelli musulmani) è visto come un ulteriore rischio commerciale e di sicurezza.

I media israeliani hanno riferito che l'Egitto sta accumulando droni nella penisola e ha costruito un secondo muro fra il valico di Rafah e la Striscia.

"La preoccupazione non è tanto quella di non poter integrare i rifugiati, ma il rischio che il conflitto si estenda nel Sinai", ha detto Mustafa.

Perché la Giordania è contro il piano per Gaza

Per quanto riguarda la Giordania, il regno è stato a lungo la destinazione degli sfollati dal 1948. L'agenzia delle Nazioni Unite per i palestinesi, l'Unrwa, stima il numero di rifugiati in 2,2 milioni, ma è probabile che il numero sia molto più alto.

Ciò significa che le autorità non vogliono, e forse non possono, accogliere altre persone. Inoltre gran parte della popolazione, palestinese e non, è "legata alla causa" e non permetterebbe lo sfollamento.

Come dice Mustafa, per questi Stati "la Palestina è tanto una preoccupazione interna quanto regionale in questo momento".

La Giordania e l'Egitto hanno di recente perso miliardi di dollari in finanziamenti Usaid. Ci si chiede quindi come questi Paesi asseconderanno Trump.

La posizione dei Paesi del Golfo

Molti altri attori importanti nei colloqui provengono dall'altra parte del Mar Rosso, e si muovono più in ordine sparso.

Sul fronte diplomatico, il Qatar ha svolto un ruolo centrale nei negoziati per il cessate il fuoco durante, consolidando la reputazione di Paese dialogante con Israele e Hamas.

In parte, ciò è dovuto al fatto che l'emirato ha sempre dato asilo ai leader politici di Hamas, pur mantenendo stretti legami con gli intermediari statunitensi pro-Israele.

Poi ci sono gli Emirati Arabi Uniti, fra i più stretti alleati regionali di Israele. Durante la precedente presidenza Trump, Abu Dhabi ha siglato un accordo di normalizzazione diplomatica con Israele, attirando la condanna di molti altri Stati arabi.

Tuttavia, dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas nel 2023, lo Stato ha ripetutamente ribadito suo sostegno ai palestinesi.

Ma gli Emirati Arabi Uniti non sembrano voler fornire aiuti finanziari per la ricostruzione e hanno anche "sostenuto la necessità di consentire il trasferimento volontario" della popolazione, ha suggerito Fahmy. Almeno pubblicamente, è improbabile che questi piani ottengano un ampio sostegno.

Oltre il confine, l'Arabia Saudita rimane un attore estremamente importante sia dal punto di vista diplomatico che finanziario. Il principe ereditario Mohammed Bin Salman ha una stretta relazione con Trump, ma il Paese non ha mai firmato gli accordi di Abramo con Israele.

"L'Arabia Saudita ha investito nei negoziati per la normalizzazione", ha detto Mustafa. Ha inoltre sostenuto che Riyahd stia cercando di capire cosa può ottenere dagli Usa, suo principale alleato internazionale.

L'Autorità palestinese sarà presente, ma è al momento molto delegittimata.

"Purtroppo, la sua rappresentanza è racchiusa in un'istituzione chiusa, gestita da un uomo e dai suoi due luogotenenti", ha detto Tahani.

Tuttavia, Fabiani ritiene che l'impatto della conferenza non debba essere sottovalutato. La definisce infatti "incontro diplomatico delicato, ma fondamentale (per) cercare di costruire una coalizione".

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