Tredici anni dopo che una rivoluzione ha lasciato il Paese mediorientale in guerra civile e ha portato più di 6 milioni di siriani a fuggire, il dittatore Bashar l-Assad è stato deposto. Tre rifugiati parlano delle loro speranze per la Siria e di un possibile ritorno in patria
Maydani, Abdulrahman e Ahmad erano tutti studenti quando nel 2011 sono esplose le proteste in Siria. Si sono uniti al movimento rivoluzionario della Primavera araba, e sono stati per questo imprigionati, prima di essere costretti a fuggire. "Dopo due mesi di detenzione, ho iniziato a perdere l'equilibrio. Avevo la febbre molto alta ed era difficile respirare a causa dell'aria del centro di detenzione e delle torture", ha raccontato Maydani a Euronews, definendo le condizioni "insopportabili per un essere umano o persino per un animale".
L'uomo ricorda la sua liberazione dopo mesi in una prigione militare nel quartiere di Kafr Sousa, nella capitale siriana Damasco. "Mio padre mi ha aiutato a uscire dalla detenzione. Altrimenti sarei diventato uno dei cadaveri non identificati". Anche dopo il rilascio, Maydani è stato però attanagliato dalla paura di essere nuovamente arrestato. "Ti mettono in prigione... e poi ti seppelliscono in una fossa comune e nessuno della tua famiglia può sapere di te, nemmeno una parola. Mi nascondevo in casa in condizioni di costante terrore. Non potevo mai uscire".
È un sentimento che conosce anche Abdulrahman. "Quando sono uscito di prigione, avevo sempre paura di camminare per strada e che mi arrestassero, che mi portassero in prigione senza motivo. Mi sembrava di essere rimasto in galera: non c'era libertà, non c'era dignità".
Ahmad, rilasciato dopo tre mesi "per miracolo", ha detto che "gli era stato consigliato di lasciare direttamente il Paese, ma voleva finire l'università". Anche Maydani è rimasto abbastanza a lungo per completare gli studi. Abdulrahman, invece, è partito subito dopo essere stato liberato.
La fuga dalla Siria
Dopo essere fuggiti dalla Siria, Maydani, Abdulrahman e Ahmad hanno attraversato diversi Paesi, in particolare la Turchia, dove Abdulrahman si è infine stabilito, come ha fatto la stragrande maggioranza dei rifugiati siriani - più di 3,3 milioni, secondo i dati delle Nazioni Unite.
Maydani e Ahmad hanno optato invece per la pericolosa traversata del Mediterraneo, che nel caso di Ahmad è durata più di una settimana. Mentre Maydani è finito in Svezia come uno degli oltre 100mila rifugiati siriani, Ahmad ha viaggiato dall'Italia per stabilirsi in Germania, che ha accolto fino a 850mila siriani, il numero di gran lunga più alto di tutti i Paesi europei.
"Sono davvero grato di essere qui e ringrazio il popolo tedesco che mi ha aiutato", ha detto Ahmad, sorridendo e aggiungendo di aver avuto un'esperienza "molto, molto positiva" in Germania, dove ha continuato gli studi, si è sposato ed è diventato insegnante. Dopo aver insegnato in Turchia, Abdulrahman è entrato nell'emittente Al Jazeera, diventando redattore.
Per Maydani è stata un'esperienza più difficile. "Non c'era nessuno che ci insegnasse le leggi, la lingua è diversa. Ciò che abbiamo studiato, tutto ciò che avevamo realizzato nella nostra vita non ha significato nulla. Siamo tornati al punto di partenza". Formatosi come dentista, Maydani ora vive con la moglie e i figli e gestisce un'impresa di taxi.
Nessuno dei tre era sicuro del fatto che prima o poi avrebbe assistito alla caduta di Assad o che gli venisse prospettata la possibilità di tornare in Siria: "Non mi sarei mai aspettato che qualcuno fosse in grado di abbatterlo", ha esclamato Maydani. "Non c'era una leadership unificata. Ogni fazione voleva essere esprimere i vertici. Francamente avevo perso la speranza e avevo smesso di seguire le notizie".
Tuttavia, quando il gruppo ribelle guidato dall'HTS ha lanciato un'offensiva coordinata e ha conquistato Aleppo, la seconda città della Siria, tutto è cambiato.
"Non riuscivo a concentrarmi, se qualcuno mi salutava ricambiavo, ma non lo ascoltavo. Stavo guidando l'auto, ho urtato il marciapiede e la gomma dell'auto si è staccata, si è rotta", ha raccontato Maydani. Abdulrahman si è detto sorpreso, anche se meno entusiasta. "Non avevo alcuna speranza che il potere potesse cambiare nel prossimo futuro. Sono stato felice, ovviamente. Per una settimana non sono riuscito a mangiare né a dormire bene".
Nonostante le speranze, Maydani spiega che "la paura è sempre stata presente fino all'ultimo momento". La sua famiglia a Damasco "temeva che ci sarebbero stati massacri, che il regime avrebbe lanciato esplosivi e bruciato la città, distruggendola".
Tuttavia, quando l'HTS ha ufficialmente preso Damasco, sono stati felici. "Quando hanno annunciato in tv che il regime di Assad era caduto in Siria, mi sono sentito davvero sollevato. Ogni volta che rileggo la frase, è come se la sentissi per la prima volta", ha aggiunto Maydani.
I dubbi sul gruppo HTS che ha preso il potere in Siria
Un mese fa, il nome di Hayat Tahrir Al-Sham (HTS) era relativamente sconosciuto negli ambienti internazionali, così come quello del suo leader Ahmed al-Sharaa. Tuttavia, da quando ha preso il controllo della Siria, l'organizzazione e il passato burrascoso del suo leader sono stati posti sotto i riflettori.
Nato dalla fusione di più gruppi ribelli islamisti conservatori sunniti della Siria nord-occidentale nel 2017, l'HTS è stato presto designato come gruppo terroristico da diversi Paesi e organizzazioni internazionali, tra cui l'ONU, l'UE e gli Stati Uniti, che hanno regolarmente lanciato attacchi aerei contro i miliziani. Il suo leader, al-Sharaa, è un ex combattente di al-Qaeda che ha adottato il nome di guerra di Abu Mohammad al-Jawlani: un riferimento alla sua terra d'origine, le alture del Golan, che è sotto occupazione israeliana dalla guerra del 1967.
Da quando ha marciato su Damasco, a dicembre, l'HTS ha cercato di nascondere il suo passato controverso e di presentarsi come movimento inclusivo e moderato. In una recente intervista alla BBC, Al-Sharaa ha parlato di proteggere le minoranze siriane, che costituiscono oltre un quarto della popolazione, tra cui cristiani e alawiti. Ha anche insistito sul sostegno ai diritti delle donne. "Abbiamo avuto università a Idlib per più di otto anni, credo che la percentuale di donne iscritte sia superiore al 60%", ha detto, riferendosi alla provincia che HTS controlla da anni.
"Sono come i talebani"
Non tutti sono però convinti. Un gruppo di oltre 300 donne siriane ha inviato una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in cui si legge: "Non accettiamo la netta assenza di donne nel governo di transizione o di essere escluse dalle discussioni internazionali". Parlando con Euronews, la docente dell'università di Cambridge ed ex avvocato delle Nazioni Unite nella regione, Victoria Stewart-Jolley, è stata ancora più diretta: "Il governo che ha preso il potere è praticamente uguale a quello dei talebani. Nessuno crede che siano dei moderati".
Ahmad e Abdulrahman riconoscono entrambi i timori legati all'HTS, e Ahmad ammette infatti di essere fiducioso ma "un po' preoccupato" per gli sviluppi: "Non sostenevo l'ideologia dell'HTS e la vedevo come dannosa per la rivoluzione siriana. Ma ora sono cambiati. Stiamo dando all'HTS la possibilità di gestire il Paese per tre mesi, ma dopo ci saranno le elezioni per il governo, per la presidenza".
Poco dopo l'intervista alla BBC, al-Sharaa ha spiegato però che organizzare libere elezioni potrebbe richiedere fino a quattro anni. Maydani teme anche che la guerra civile non sia finita perché attori internazionali continuano a sostenere gruppi locali, compresi i curdi sostenuti dagli Stati Uniti a nord. Tuttavia, il suo umore è complessivamente positivo: "Sono molto contento e finora Ahmed al-Sharaa sta facendo un ottimo lavoro per il Paese".
Per quanto riguarda la possibilità di tornare in Siria, tutti e tre hanno in programma di farlo nelle prossime settimane, per una visita, e credono che "milioni" di rifugiati torneranno alla fine in patria. Circa il 70% dei rifugiati siriani vive ancora in condizioni di povertà.
Tornare a casa sì, ma non subito
Tuttavia, nessuno ha intenzione di trasferirsi nell'immediato, visti i 13 anni di guerra civile che hanno devastato il Paese. "Il 70% della Siria è distrutto, interi quartieri, intere aree, tutti gli edifici sono distrutti, completamente inadatti alla vita. Quindi, se queste persone tornano, in che modo vivranno?", ha chiesto Maydani.
Ahmad ha anche sottolineato che molti bambini rifugiati hanno lasciato la Siria prima di potersi sentire veramente radicati. "Non hanno alcun ricordo... non hanno alcuna idea del Paese", ha detto. Tuttavia, secondo Maydani, non si tratta di problemi insormontabili: "C'è bisogno di tempo, ora siamo qui all'inizio".