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Madri e lavoratrici, un diritto delle donne: Meloni reagisce alle critiche sul viaggio in Cina

Giorgia Meloni a Pechino
Giorgia Meloni a Pechino Diritti d'autore Vincent Thian/Copyright 2024 The AP. All rights reserved
Diritti d'autore Vincent Thian/Copyright 2024 The AP. All rights reserved
Di Ilaria Cicinelli
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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La premier Giorgia Meloni ha risposto alle polemiche sollevate dalla presenza della figlia a Pechino, durante il viaggio di Stato. Per la premier il suo è un esempio che mostra come il lavoro non ostacoli le donne nella carriera. Ma le politiche del suo esecutivo sono svantaggiose per le madri

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Molte polemiche hanno accompagnato la visita di Stato in Cina della presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. Motivo del contendere: la presenza della figlia Ginevra al suo fianco.

Non è la prima volta che Meloni viene investita dalle critiche per la scelta di portare sua figlia in un viaggio ufficiale. Era già accaduto nel 2022, durante lo svolgimento del G20 a Bali. "Ho diritto di fare la madre come ritengo", aveva risposto allora la premier, difendendo la sua decisione.

Questa volta però è stata criticata anche per aver disceso la scaletta dell’aereo in favore dei fotografi con la bambina accanto. Critiche un po’ tirate per i capelli, nell’era degli influencer impegnati a mostrare anche i cambi di pannolino dei propri figli, con tanto di marchi degli sponsor in bella vista. Meloni però rappresenta il governo italiano.

Già in passato la premier aveva messo in evidenza le difficoltà della maternità e la costante scelta a cui le donne sembrano essere costrette, quella tra carriera e famiglia.

La risposta di Meloni alle polemiche sul viaggio di Stato in Cina con la figlia

"Mi fa sorridere che certe persone si ritengano moralmente così superiori da poter insegnare a una madre come crescere la propria figlia. Io invece penso che ogni mamma sappia cosa sia meglio per la sua prole e debba scegliere in libertà. Ma c'è di più", ha spieato Meloni in un'intervista al settimanale Chi.

"È anche una sfida culturale che riguarda tutte le donne: penso che, se io, che sono presidente del Consiglio, riesco a dimostrare che il mio incarico è compatibile con la maternità, allora non ci saranno più scuse per quelli che usano la maternità come pretesto per non far avanzare le donne sul posto di lavoro", ha dichiarato la premier.

Difficile per i figli dei leader mantenere l’anonimato. Certo, a non tutti i bambini e ragazzi è concesso il privilegio, o quello che gli adulti ritengono tale, di assistere a incontri al vertice della diplomazia internazionale. Quando però sono gli uomini a portare i figli in viaggio ufficiale non si crea altrettanto scandalo. L’ex premier Giuseppe Conte in veste di presidente del Consiglio portò suo figlio al G7 di Biarritz nell'agosto 2019 senza suscitare troppo clamore.

Anche negli Stati Uniti non suscita stupore la presenza costante dei figli a fianco dei presidenti in carica. A partire da Barack Obama, che ha portato le figlie Malia e Sasha in diversi viaggi di Stato come in India, a Cuba e in Argentina. Anche ad accompagnare George W. Bush, in questo caso in Messico, Germaia e Cina, c'erano le figlie, Jenna e Barbara e la figlia di Bill Clinton, Chelsea, si recò con l'allora presidente in Vietnam nel 2001. Più indietro nel tempo, Tricia Nixon Cox e Julie Nixon Eisenhower accompagnarono il padre, il presidente Richard Nixon, in visite ufficiali in diversi Paesi, tra cui Unione Sovietica, Romania e Iran.

Le politiche del governo Meloni che ostacolano le donne

Giorgia Meloni così ha rivendicato il suo diritto di donna in carriera a essere madre, un diritto sacrosanto, troppo spesso negato in Italia e nel mondo. A rendere difficile conciliare la maternità con la vita lavorativa e arrivare a un’effettiva parità uomo-donna sono però molti provvedimenti varati dai governi, in primis il suo.

Senza tralasciare il fatto che appena una manciata di donne in Italia, ultima in Europa per l'occupazione femminile secondo i dati Eurostat di gennaio 2024, ha una carriera che consente loro di portare con sé i figli durante il turno di lavoro, in molti hanno fatto notare come alcune delle politiche portate avanti dal governo Meloni siano per lo più svantaggiose per le madri e per le lavoratrici. Al momento una donna su cinque esce dal mercato del lavoro dopo la maternità e per il 52 per cento di loro la decisione è determinata da esigenze di conciliazione.

Il nostro Paese, inoltre, ha il gender gap più ampio d’Europa: le donne lavorano 9 anni meno degli uomini. Disparità dovute anche a una predisposizione culturale dei partiti che votano i provvedimenti. Per esempio Fratelli d’Italia, il partito di Meloni, ha votato contro la direttiva sulla parità salariale al Parlamento Ue. Così come ha deciso di aumentare l’Iva dal 5 al 10 per cento su assorbenti e pannolini, una misura che penalizza in particolare le donne single, costrette a crescere i figli con un solo stipendio.

Se poi per la premier la crisi della natalità è una priorità e "una donna che mette al mondo due figli offre al Paese un grande contributo", non si spiega perché il suo governo abbia deciso di affossare il Family Act, un provvedimento approvato dal governo Draghi che introduceva un pacchetto di misure a sostegno delle famiglie per promuovere la genitorialità conciliandola anche col mondo del lavoro.

Molte delle misure previste dal Family Act, come il sostegno alle spese educative dei figli, l’aumento dei congedi di paternità, il sostegno all’imprenditoria femminile e l’aiuto finanziario ai giovani, sono state accantonate.

Di quel provvedimento era rimasto soltanto l’assegno unico universale per i figli a carico, escludendo però le persone che risiedono da meno di due anni in Italia, e solo se vivono nella stessa famiglia dei loro figli. La Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia, ritenendo la misura discriminatoria.

In più, se nel 2021 era prevista la creazione di 264.480 posti per i bambini negli asili nido e nelle scuole materne con i fondi del Pnrr, l'esecutivo ha ridotto questo numero a 150.480. L'obiettivo europeo sarebbe ottenere 45 posti disponibili ogni cento bambini ma molte regioni italiane, soprattutto nel Sud, sono ben lontante dal raggiungere la quota, con casi estremi come Sicilia e Campania dove si arriva ad appena dieci posti ogni cento bambini.

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