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Bangladesh, sciolto il parlamento, il Nobel Yunus a capo del governo ad interim

Il premio Nobel per la pace del 2006, Muhammad Yunus
Il premio Nobel per la pace del 2006, Muhammad Yunus Diritti d'autore Mahmud Hossain Opu/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Diritti d'autore Mahmud Hossain Opu/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Di Euronews
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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L'esercito ha assunto il controllo del governo e sciolto il parlamento, promettendo indagini sulla repressione violenta delle proteste, che ha già provocato più di 300 morti. il Nobel Muhammad Yunus guiderà il governo ad interim

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Martedì il presidente del Bangladesh ha sciolto il parlamento, dopo l'ultimatum avanzato dagli studenti che hanno guidato le massicce manifestazioni delle ultime settimane e che hanno portato lunedì alla destituzione della prima ministra Sheikh Hasina.

Dopo le richieste dei manifestanti, il premio Nobel per la pace Mohammad Yunus è stato nominato Chief adviser, cioè capo del governo ad interim, che entro i prossimi 90 giorni guiderà il Paese verso le elezioni.

Nella tarda mattinata di martedì l'economista e imprenditore, noto per aver fondato negli anni Settanta la Grameen Bank, primo istituto finanziario specializzato nel microcredito, si era detto pronto a guidare il governo e aveva fatto sapere che sarebbe ritprnato in Bangladesh "immediatamente" dopo essersi sottoposto a un piccolo intervento a Parigi.

"Qualsiasi governo diverso da quello che abbiamo raccomandato non sarà accettato. Non accetteremmo nessun governo sostenuto dall'esercito o guidato dall'esercito", ha dichiarato uno dei leader del movimento di protesta, Naid Islam, in un video pubblicato su Facebook. "Abbiamo anche discusso con Muhammad Yunus, che ha accettato di assumersi questa responsabilità su nostro invito", ha aggiunto Islam.

La prima ministra Hasina in India, assaltata la statua del padre Sheikh Mujibur Rahman

La ricerca di un nuovo primo ministro è stata resa necessaria a seguito delle dimissioni di Hasina, che è fuggita in India e che, secondo alcune fonti, potrebbe raggiungere il Regno Unito. Il passo indietro e l'abbandono del territorio nazionale sono stati confermati dal capo dell'esercito, il generale Waker-Uz-Zaman.

Lunedì Zaman ha parlato alla Nazione assicurando che la presenza militare è soltanto temporanea e promettendo un'indagine sulla repressione delle manifestazioni, che ha provocato più di 300 morti in meno di un mese.

Nel frattempo lunedì i manifestanti in festa hanno assaltato e danneggiato le statue di Sheikh Mujibur Rahman, padre di Hasina.

Le strade della capitale Dacca sono apparse più tranquille martedì, senza notizie di nuove violenze, con i manifestanti esultanti che hanno affollato pacificamente la residenza ufficiale dell'ex premier, la stessa in cui si erano introdotti lunedì costringendo Hasina alla fuga.

Si aggrava il bilancio delle vittime degli scontri in piazza

Proprio la violenta repressione ha alimentato l'indignazione da parte della popolazione nei confronti del governo. Solo negli ultimi giorni le proteste hanno provocato 105 morti. Il bilancio è stato diffuso nella giornata di lunedì 5 agosto dalle autorità locali, dopo che, in precedenza, si era parlato di 94 vittime.

"Fidatevi dell'esercito - ha dichiarato Zaman -. Indagheremo sulle uccisioni e puniremo i responsabili". Una prima decisione dal parte del generale è stata quella di eliminare il coprifuoco e riaprire scuole e università.

Liberata la leader dell'opposizione Khaleda Zia

Al contempo, sempre nel tentativo di placare gli animi, il presidente Mohammed Shahabuddin ha disposto la liberazione dell'ex prima ministra, nonché leader dell'opposizione, Khaleda Zia, e di alcuni tra i manifestanti arrestati nelle piazze nelle scorse settimane.

Zia, che ha guidato il governo del Bangladesh a due riprese - dal 1991 al 1996 e dal 2001 al 2006 - nel 2018 è stata condannata poiché ritenuta responsabile di essersi appropriata di donazioni destinate all'orfanotrofio Zia orphanage trust e per abuso di potere. A gennaio il suo partito si era schierato contro le elezioni, giudicandole una farsa.

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