Ai mondiali di Doha tutta la squadra non canta l'inno nazionale e si schiera al fianco di chi protesta contro il regime degli ayatollah
Lo sport iraniano alza la voce. E lo fa con un assordante silenzio.
Muti, mani sulle spalle dei compagni, mentre le note del loro inno riecheggiano nello stadio. I giocatori dell'Iran non lo hanno cantato, un gesto significativo che potrebbe passare alla storia. Sono rimasti lì, immobili, la sfida lanciata al regime degli ayatollah. In panchina solo un assistente di Queiroz ha canticchiato qualcosa. E il pubblico ha fischiato e fatto capire agli ayatollah da che parte stava.
La protesta era iniziata fuori dallo stadio, con i tifosi iraniani che inneggiavano a Masha Amini, la giovane uccisa dalla polizia iraniana dopo l'arresto da parte dei paramilitari con l'accusa di non aver indossato l'hijab, morte ch ha scatenato proteste in tutto il Paese, represse con violenza. I morti sono stati oltre 400. Non è stato il solo nome cantato dai supporter persiani, che hanno anche invocato Ali Karimi, l'ex giocatore che si è schierato a favore della rivolta.
Ancora più dura la presa di posizione del capitano di Team Melli (il soprannome della nazionale di Teheran), Ehsan Hajsafi, che alla vigilia aveva così commentato la situazione nel suo Paese: "Noi giocatori stiamo dalla parte di chi ha perso la vita".