Italiani sempre più indebitati: nuovi rischi per la casa?

Pausa di lavoro notturno (archivi AP, uffici romani dell'ENI)
Pausa di lavoro notturno (archivi AP, uffici romani dell'ENI) Diritti d'autore Gregorio Borgia/AP
Diritti d'autore Gregorio Borgia/AP
Di Diego Malcangi
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Gli effetti polarizzanti della crisi si traducono in risparmi crescenti per chi può e non azzarda investimenti, mentre cresce contestualmente il problema della sostenibilità del debito privato. E ora il patrimonio immobiliare potrebbe finire nelle mani degli stessi che si accaparrano il debito

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Prezzi alle stelle e famiglie e piccole imprese che danno fondo ai risparmi, mentre la situazione del debito in Italia resta esplosiva tanto da far guardare con preoccupazione anche a quello che è sempre stato il punto di forza degli Italiani: la casa di proprietà. 

La casa in Italia è sempre stata un elemento di garanzia, di solidità inter-generazionale. Vista da fuori, da Paesi che non hanno le stesse caratteristiche socio-economiche, è invece una preoccupante sacca di risparmio non re-investito, di capitale che non circola. 

L'intervista completa a Dino Crivellari: il quadro della situazione del debito e i rischi collegati a una norma in arrivo per consentire l'esdebitamento cedendo la casa (ma pagando un affitto per restare)

E se la crisi in corso e le sue conseguenze a medio termine spingeranno sempre più famiglie e piccole imprese a indebitarsi o a non poter fare fronte ai debiti già in corso, sono molti gli immobili che rischierebbero di finire al banco dei pegni: non stiamo parlando della classica soluzione ipotecaria, ma di un progetto più articolato che ci è stato segnalato da uno dei massimi esperti italiani di debito, Dino Crivellari, e che potrebbe rappresentare la chiusura del cerchio, dando di fatto gli immobili in mano agli stessi fondi che si accaparrano il debito. 

Il contesto

Lo scenario non era dei migliori già prima del conflitto in Ucraina, a causa di una serie di strozzature che si sono create proprio con la ripartenza dopo le chiusure dovute alla pandemia, in particolare in Cina: l'aumento della domanda di trasporti per le merci ha fatto schizzare in alto prima il petrolio e poi anche le tariffe delle navi container. Il greggio si è poi stabilizzato perché ne è di nuovo calata la domanda, anche a causa di rallentamenti produttivi legati a problemi nella fornitura di materiali e componenti. Ha pagato dazio in particolare il settore automobilistico.

I costi dei trasporti invece sono rimasti alti: all'alta domanda si sono aggiunti gli incrementi delle tariffe di transito (aumentate ancora di recente nel canale di Suez).

Intervista con Natasha Linhart, CEO di Atlante

A questo si è aggiunta la guerra, e delle conseguenze prevedibili per i prossimi mesi avevamo parlato con l'AD di Atlante, uno dei grandi operatori del sourcing.   

Sottolineava, tra le altre cose, anche una probabile carenza di vetro. E naturalmente una forte pressione su cibo, tale da lasciar temere che alcune garanzie qualitative faticosamente preservate in Europa siano destinate a saltare.

Naturalmente tutto questo comporta poi prezzi in rialzo, carenza di prodotti, difficoltà occupazionali nei settori più colpiti da determinate rotture della catena logistica, ulteriore ricorso al debito. Già ora il quadro che emerge per esempio dalla recente ricerca di Altroconsumo non può dirsi rassicurante, visto anche l'alto numero di famiglia già ora costrette a rinunciare a spese mediche e alimentari. 

Pnrr e debito pubblico

Dalla pandemia l'Europa (e l'Italia in particolare) è uscita con un alto debito pubblico: non solo gli Stati membri questa volta, ma anche la stessa UE perché al bilancio ordinario si è aggiunto il ricorso al debito europeo, per la prima volta

In sintesi: il piano europeo di ripresa e resilienza, che è la parte fondamentale del NextGeneration Eu, prevede di erogare in diverse tranche fino al 2026 poco meno di 700 miliardi di €, dei quali 360 miliardi in prestito e poco meno di 313 miliardi in sussidi (il che non corrisponde esattamente a un fondo perduto in questo caso).

In prestito l'Italia riceve, per finanziare il suo Pnrr, circa 122 miliardi. Il resto, 69 miliardi sotto forma di sussidi, sono anch'essi finanziati da debito europeo.

In pratica: i 122 miliardi (di cui l'Italia ne ha già incassati 16 di prefinanziamento ad agosto 2021 e 11 ad aprile 2022 per la prima tranche) vengono presi in prestito dall'UE sui mercati e girati agli Stati membri, che hanno il vantaggio di un rating migliore di quello che avrebbero facendo da sé. Soprattutto l'Italia.

Quei sedici miliardi già incassati dall'Italia nel 2021 sono già a bilancio come debito pubblico, perché andranno restituiti all'UE che li rimborserà ai creditori. Gli altri 10, più l'eventuale seconda tranche se l'Italia avrà rispettato tutte le condizioni, figureranno a debito nel bilancio pre-elettorale.

Dei 69 miliardi di sussidi (9 già incassati come prefinanziamento e 10 per la prima tranche) nulla figura per ora come debito pubblico nazionale. Ma alla scadenza dei titoli, nel 2027, l'Ue si rivolgerà agli Stati membri per contribuire al rimborso. Non è ancora chiaro come e quanto: in teoria, in proporzione al PIL. Fatto sta che “i mercati" sanno già che nel 2027 anche quella parte di debito verrà ripartita tra gli Stati.

Nel frattempo però a livello europeo si discute anche su come ridurre i contributi degli Stati e aumentare le “risorse proprie” dell'Europa. Si tratta cioè di tassazione europea, diretta o indiretta. Tradizionalmente questo flusso è stato alimentato dai dazi doganali e dall'IVA comunitaria, per esempio, ma recentemente la tassa sulla plastica ha già spostato qualcosa. Il progetto della Commissione per la revisione di questo quadro non è ancora stato presentato, ma in prospettiva appare evidente che si cercherà di andare verso una progressiva uniformizzazione dell'assetto fiscale. A partire dalla tassazione delle imprese, che è l'elemento di massima competizione fiscale e quindi anche politicamente delicato, progetto che Gentiloni dovrebbe presentare entro il 2023. Ma anche sul tema della casa c'è pressione da tempo: perché la maggior parte dei Paesi la tassa, alcuni no.

Il debito privato e i risparmi

L'Italia, come detto, ha un alto debito pubblico. Il più alto in Europa dopo la Grecia, in rapporto al PIL. Aumenterà, perché il volume di debito crescerà più del PIL (rivisto a +2,4% per il 2022 – da una previsione del + 4,1% prima della guerra; e un eventuale collasso delle forniture di gas causerebbe un forte calo ulteriore).

Ma se si guarda al debito aggregato (pubblico + privato) le cose cambiano. La Francia balzava oltre il 400% del PIL negli scorsi anni in termini di debito aggregato, ma è soprattutto debito delle imprese. Se guardiamo alle famiglie, il quadro in apparenza più preoccupante è nell'Europa del nord: se gli italiani si indebitano mediamente per il 91% delle loro entrate, i francesi sono al 127% ma gli olandesi balzano al 230%, e ancora più su danesi e norvegesi. 

Dati da prendere con le pinze, perché dipendono molto dalle politiche fiscali, in particolare in campo immobiliare, e proprio questo è indice delle difficoltà di armonizzazione in Europa. E poi c'è un altro aspetto, legato ai diversi operatori nel settore del debito, tanto che negli anni passati la banca centrale finlandese lanciò l'allarme, affermando di aver perso il controllo dell'indebitamento dei cittadini (del “far west” di debito e pagamenti digitali avevamo in parte parlato l'anno scorso) : quindi il dato reale potrebbe essere più elevato di quello rilevato.

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Quanto al risparmio: secondo l'OCSE nel 2021 il risparmio degli Italiani è calato (dinamica comune al resto dell'Europa ) in rapporto alle risorse disponibili, ma bisogna guardare allo stock: i depositi bancari in Italia ammontano a quasi 2.000 miliardi. Molto è denaro che non circola: di 120 miliardi di risparmio netto nel 2020, 85 sono in depositi e conti correnti. Se guardiamo agli assetti finanziari, in Olanda per esempio il 58,7% va in fondi pensione, in Italia solo il 6%. Il Italia il 32,6% è in depositi bancari o risparmio in contanti, contro il 17% degli olandesi.

Sommato al forte tasso di proprietà immobiliari, il dato dipinge una società finanziariamente statica. Per modificare questo quadro potrebbe intervenire la leva fiscale. Potrebbe anche influire l'aggravarsi della situazione debitoria, perché famiglie e PMI che già erano al limite potrebbero, con il più che prevedibile aggravamento del contesto economico generale, esser spinte al debito.

Indebitamento e proprietà immobiliare

Abbiamo quindi chiesto a Dino Crivellari (ex condirettore di UniCredit e poi fondatore ed ex AD di Unicredit Credit Management, tra le altre cose. Con lui avevamo già fatto un punto articolato sulla situazione esplosiva del debito) di tornare a darci un quadro della situazione: nell'intervista (in versione integrale nel video all'inizio dell'articolo) ci ha detto subito che c'è un doppio rischio, dovuto da una parte a un credit crunch in arrivo, cioè a difficoltà ad ottenere prestiti proprio quando più servono; e a una norma in fase di preparazione che sembrerebbe tendere a "trasformare gli Italiani da popolo di proprietari in popolo di affittuari".

Si tratta di una proposta di articolato, per il momento, e in estrema sintesi l'idea è che il debitore possa cedere l'immobile al creditore, risolvendo così la situazione debitoria. Manterrebbe l'usufrutto, cioè potrebbe continuare per dieci anni ad abitare nella stessa casa, pagando un affitto. Ed avrebbe in ogni momento il diritto di riacquistare il bene.

In realtà, potrebbe avere non pochi effetti perversi, primo su tutti quello della concentrazione del patrimonio immobiliare nelle mani di pochi fondi d'investimento.  Sul tema della proprietà immobiliare torneremo nel prossimo futuro, anche con un aggiornamento sull'aspetto accennato ora.

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