Nonostante il rapporto di amore-odio con l'elettorato, le frizioni con il mondo del lavoro e le turbolenze sanitarie e geopolitiche, il più giovane presidente della Francia repubblicana oggi cerca la riconferma per un secondo mandato
Era il maggio del 2017, ed Emmanuel Macron, già ministro dell'economia e dell'industria sotto la presidenza Hollande, veniva salutato come il più giovane presidente mai eletto nella Francia repubblicana.
All'epoca 39enne, eletto con una formazione centrista di sua fondazione (La Republique en Marche) si era affacciato alla politica un decennio prima, entrando nel Partito socialista con un background nell'alta finanza.
Poco più che trentenne, con un quadriennio già all'attivo nell'Ispettorato delle finanze, aveva assunto l'incarico di consigliere delegato nella Rotschilde Banque, conducendo una transazione stellare tra Nestlé e Pfizer: valore stimato, poco meno di 12 milioni di euro.
Proprio il suo retaggio, oltre ai guadagni milionari conseguiti in quel periodo, gli varranno - oltre ai sospetti di evasione fiscale, poi smentiti dall'Agenzia delle entrate francese - anche l'accusa d'aver fatto della Francia una tecnocrazia in balia dello strapotere delle società di consulenza finanziaria.
L'economia, del resto, è stata terreno delle più brusche turbolenze dell'era Macron: nei suoi 5 anni all'Eliseo, il giovane presidente si è scontrato con la dura opposizione dei sindacati e del movimento dei gilet gialli, che a più riprese ne hanno bloccato le riforme di lavoro, fiscalità e welfare, giudicate troppo onerose nei confronti della classe media.
L'ora buia dell'Europa
Ma gli scossoni non sono soltanto interni: nel febbraio del 2020, il Covid inizia a farsi sentire in Francia proprio alla vigilia di una tornata Comunale che segna una brutta batosta per la formazione di Macron, accusato per tutta la campagna elettorale di aver voluto ritardare chiusure e restrizioni proprio per non compromettere un esito che alla fine si è rivelato comunque infausto.
Archiviata la fase acuta della Pandemia, alla vigilia dell'invasione russa in Ucraina Macron si è trovato a cercare un difficile equilibrio tra gli obblighi atlantici e gli storici rapporti con Mosca divenuti ormai estremamente complicati.
A nulla valgono i 15 colloqui , tra telefonate e incontri al Cremlino, avuti con Vladimir Putin: la campagna per le presidenziali inizia all'indomani di un conflitto che il Presidente ha cercato senza successo di scongiurare.
Ai tentativi di accreditarsi come mediatore del suo omologo francese, Putin risponde con un atteggiamento che suggerisce la volontà di infliggere un'umiliazione pubblica all'Eliseo.
Ma proprio sui rapporti imbarazzanti che la sua rivale in corsa, Marine Le Pen, ha intrattenuto col Cremlino, Macron si è giocato gran parte della campagna elettorale, calcando assai la mano sul tema della disinformazione dell'estremismo fomentato da Mosca: "Ci siamo abituati" ha dichiarato in un comizio elettorale. "Il pericolo estremista oggi è tanto più grande perché da diversi mesi, diversi anni, l'odio e le verità alternative sono diventate perfino banali nel dibattito pubblico".