Omofobia: paragonò in video Scalfarotto a Hitler, condannato

Giudice Parma, 'diffamazione, realtà stravolta e manipolata'
Giudice Parma, 'diffamazione, realtà stravolta e manipolata'
Di ANSA
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(ANSA) – MILANO, 21 APR – Ritenere che, “promuovendo” un
“disegno di legge” per contrastare la omotransfobia, Ivan
Scalfarotto “volesse conculcare la libertà di determinazione
sessuale dei bambini e irregimentarli in una dittatura
ideologica assimilabile, per pericolosità, a quella nazifascista
costituisce un inaccettabile stravolgimento e manipolazione
della realtà”. Lo scrive il Tribunale di Parma nelle motivazioni
della sentenza con cui ha condannato per diffamazione l’autore
di un video, pubblicato su YouTube nel 2015, nel quale si
accostava l’immagine del parlamentare, anche sottosegretario
all’Interno, “a quella di Adolf Hitler in quanto esponente della
cosiddetta ‘ideologia gender’”. Una condanna a mille euro di multa e a duemila euro di
risarcimento. Il video era stato pubblicato nel luglio di 6 anni
fa quando Scalfarotto, assistito nel processo come parte civile
dal legale del Foro di Milano Davide Steccanella, stava seguendo
“l’iter parlamentare” del disegno di legge “da lui promosso”,
come si legge nella sentenza del giudice Beatrice Purita. Il
filmato si intitolava ‘Stop ideologia gender, colonizzazione
ideologica’. Il pm aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato. Per il giudice, dal video emerge “in modo inequivoco
l’associazione di Scalfarotto all’immagine di Hitler” e il
“messaggio” che se ne trae “è che egli fosse fautore di un
pensiero dittatoriale” che rovina la “libertà di espressione dei
bambini”. Non era, quindi, una legittima critica nei confronti
della sua attività di promozione di quel disegno di legge, che
poi non venne approvato (si discute in questi giorni, tra
l’altro, del ddl Zan contro l’omotransfobia). Nessuna “attenuante”, si legge ancora, anche se l’imputato
aveva deciso di rimuovere il filmato e aveva mandato una lettera
di scuse a Scalfarotto. Gesti che, a detta del giudice,
puntavano solo alla “remissione di querela”. (ANSA).

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