Fronte del covid, una dottoressa racconta la lotta quotidiana in corsia

Appena qualche mese fa la gente usciva sui balconi ad applaudirli. Medici e infermieri, anche in Italia erano considerati degli eroi. Qualche mese dopo la gente sembra essersi dimenticata di loro. È subentrata l'abitudine al covid e il personale medico è rimasto solo con i suoi problemi, come la dottoressa Elisabetta Teti, specialista in malattie infettive. Turni massacranti e l'impressione che la popolazione stia abbassando la guardia.
Rivolgendosi a un paziente la dottoressa dice: "Avresti mai pensato di ammalarti di covid?"
Nazzareno Santilli, paziente COVID-19, risponde: "È meglio prendere misure preventive che sottoporsi a un trattamento estenuante. Quindi invito tutti a rispettare le misure, le indicazioni che vengono chieste a tutti noi".
La dottoressa Teti, come molti altri dottori, sente che si arrivando a saturazione, e non solo di posti letto: "Abbiamo pensato - siamo tornati a marzo - abbiamo i pazienti portati al pronto soccorso di continuo. Entro 24 ore passano dall'aver bisogno una maschera di ossigeno al casco (casco NIV) e poi in appena 24 ore arrivano all'intubazione. Nelle ultime due settimane abbiamo avuto in media un'intubato al giorno ".
Il covid ha anche dei risvolti terribili nella vita privata dei medici. Continua la dottoressa Teti: "È tutto molto difficile per noi. Siamo un gruppo molto giovane, dovremmo essere freschi e avere una buona scorta di emozioni positive e portarle nel nostro lavoro, e lo facciamo. Ma abbiamo avuto un periodo difficile come tutta la professione medica a marzo, ad aprile e ora. Molti di noi hanno iniziato la psicoterapia. Molti. A marzo e aprile, entravo in casa, mi spogliavo alla porta, poi lasciavo i vestiti e le scarpe sulla porta e andavo a fare la doccia. In casa portavo sempre una mascherina. Con mio marito abbiamo mangiato a distanza e abbiamo dormito separati, purtroppo, lui era sul divano e io in camera da letto. E non ci siamo più nemmeno baciati"
Intanto, in piena seconda ondata già si parla di una terza ondata in febbraio, con il personale medico che chiede solo di poter svolggere degnamente il proprio lavoro, con meno retorica, ma con più mezzi.