A teatro Haner e la sua libertà omicida - le riflessioni di Francesca Garolla

Tu es libre
Tu es libre Diritti d'autore Foto Laila Pozzo
Di Diego Malcangi
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Al Piccolo Teatro di Milano Francesca Garolla porta la vicenda di Haner, in fuga da una vita agiata a Parigi verso l'Isis, per libera scelta. È la prima di una serie di riflessioni sulla libertà. Ne abbiamo parlato con l'autrice

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"Tu es libre", ovvero "tu sei libera": ma quanto libera? E quanto è tollerabile la tua libertà?

Il caso di Haner, la protagonista, ci porta ai limiti: della libertà e della comprensione.

Va in Siria a combattere con l'Isis, senza nemmeno un motivo chiaro per essere o sentirsi parte in causa. E da lì parte quella domanda di fondo, sui limiti della libertà, che anche lo spettatore non può non farsi.

Francesca Garolla porta il suo "Tu es libre" al Piccolo Teatro di Milano, dal 9 ottobre prossimo.

È il primo capitolo di una trilogia sul tema della libertà: oltre a "Tu es libre", "Io sono testimone" e "Se ci fosse luce": uno parla della libertà nella sua pretesa assolutezza, l'altra del desiderio di limitare consapevolmente la propria libertà, il terzo della responsabilità.

"Tu es libre" era già stato presentato al Festival di Avignone, poco dopo la strage di Nizza: oggi, forse, in una fase in cui l'attualità è meno pressante sul tema del terrorismo e anche della Siria, c'è più tempo e spazio per un'altra domanda, ulteriore: "perché?"

Foto Laila Pozzo
Tu es libreFoto Laila Pozzo

E siamo partiti proprio da qui, dal "perché", in una breve conversazione telefonica con l'autrice. In versione audio integrale qui accanto, ve ne proponiamo a seguire una trascrizione parziale. Nella parte non trascritta parliamo dell'equilibrio difficile tra due rischi, quello di un eccessivo moralismo e quello della 'banalizzazione', cioè di una sostanziale accettazione, di fenomeni ritenuti inaccettabili; del ruolo dell'autrice per fare da 'ponte', per gestire quell'equilibrio; di chi abbia eventualmente provato a dissuaderla dalla scrittura di quel testo; di come sia stato accolto alla sua prima presentazione, in francese, al festival di Avignone, in piena emergenza terrorismo.

La domanda giusta la fanno i bambini, che chiedono sempre: "perché?" Le chiedo questo, quindi: perché l'ha scritto, perché porta in scena quella storia

L'ho scritto perché da anni sto cercando di lavorare o di perlustrare il tema della libertà.

La libertà nella sua definizione, nel senso che noi non ci riferiamo tendenzialmente a una libertà assoluta, ovvero sciolta da tutto, ma a una libertà che noi conosciamo, che il nostro contesto ci ha insegnato, o che ci ha insegnato la nostra educazione.

Però se torniamo alla parola originaria, tolta da questi condizionamenti, la libertà è qualcosa che per l'appunto non dovrebbe avere alcun condizionamento. Quindi mi interessava ragionare su questo: perché la libertà ha anche una componente, potenzialmente, di violenza e di crudeltà. Da qui l'idea, anche perché spesso il riferimento è collegato al contemporaneo - non necessariamente l'attualità, ma temi legati al contemporaneo - , l'idea di ragionare sui foreign fighters, e quando ho scritto il testo, tra il 2016 e il 2017, il tema era piuttosto emergente, perché ci trovavamo nel pieno della guerra in Siria ma anche degli attentati terroristici che avevano colpito l'Europa in quel periodo.

Quindi io mi chiedevo come degli Europei, degli Occidentali, potessero unirsi a una lotta di questo tipo, non dalla parte dei "buoni", diciamo così, ma dalla parte dei "cattivi", dell'Isis, di Daesh come dicono i francesi, senza necessariamente avere origini mediorientali o condizionamenti legati a stati di follia, o cose del genere. Perché questo fenomeno, seppur piccolo, è distinto: si tratta di ragazze "normali" che hanno deciso di aderire a questo sistema completamente differente dal nostro. E mi sono immaginata questa giovane ragazza francese, figlia di una media borghesia, di genitori piuttosto aperti, inserita in un contesto culturale medio, diciamo la "brava ragazza" tipica, che decide di partire. E da qui è nato un altro punto, che ha sempre a che fare col 'perché': che cosa l'ha spinta a prendere una decisione di questo tipo?

La riflessione sui confini della libertà ha a che fare con tutto il contesto, alla fine: la famiglia, gli amici... Come costruisce tutto questo?

Il testo è ambientato su due piani: ci sono due tempi, sostanzialmente. Il tempo in cui Haner non è ancora partita, e quindi la sua decisione di partire non è dichiarata, e poi un secondo tempo che ho definito l'oggi, che è due danni dopo, e che è un tempo in cui la madre, il padre, il suo innamorato e una sua amica tentano di ricostruire i motivi che l'hanno spinta a partire facendo una sorta di deposizione davanti a qualcuno che io non dichiaro - lo spettatore può immaginare la polizia, o può immaginare di essere se stesso -.

Il punto è che spesso andiamo alla ricerca di un perché anche per motivare, per giustificare qualcosa che per noi è assolutamente incomprensibile, tentiamo di metterlo in una sorta di consequenzialità logica.

Ma se noi non lo sappiamo, che cosa abbia spinto quella persona a fare una determinata cosa, come ci relazioniamo? Questo modifica del tutto la percezione che noi abbiamo di quella persona? Ci fa smettere di amarla?

Sul fondo, se noi non riusciamo a spiegare i 'perché' di qualcun altro finiamo per mettere in discussione noi stessi: forse è un po' di questo che abbiamo paura nella nostra società...

Esattamente. Nel momento in cui la libertà mina i confini della nostra sicurezza, e non è più del tutto positiva, noi stessi finiamo poi per chiederci quanto la nostra libertà possa incidere sulla vita dell'altro. In questa ricerca, in questo ragionamento, nel testo mi sono inserita anch'io, come autrice, ho voluto inserire un elemento che non fosse di finzione - cioè, è di finzione perché è un testo teatrale, ovviamente, ma ci sono io, nei panni di me stessa, che in qualche modo attraverso le testimonianze di tutti questi personaggi mi metto alla ricerca di questo perché.

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E come funziona, questo suo doppio ruolo: autrice e sul palco?

Funziona in un modo un po' difficile: è stato molto diverso scriverlo e poi andare in scena. Ovviamente, in quanto autrice, io scopro delle cose scrivendo il testo, perché lo scrivo, ha un inizio e una fine. Nel momento in cui ho dovuto interpretarlo mi sono resa conto di quanto in effetti l'autrice in scena non sapesse del testo che aveva scritto... Cioè, io stessa come autrice ho ovviamente dei riferimenti, sui personaggi che ci sono, sul comportamento di Haner, le mie riflessioni, che cercano di essere trasversali su più religioni, su più immaginari... Ma mi manca, come agli altri personaggi, la conoscenza che dovrebbe dare un senso a tutta questa storia. Ed è molto interessante, perché in qualche modo sono un'autrice stupita dal testo.

Cambia anche il riferimento: Lei, scrivendo, si rivolge ad Haner e agli altri personaggi che crea, mentre quando sale sul palco si rivolge a un pubblico...

Sì, e ho scoperto anche la responsabilità di rivolgermi a un pubblico: perché questo è un tema spinoso, è abbastanza facile fraintendere e pensare che io giudici come un'azione di libertà il fare male a qualcuno. Ovviamente non è così, io semplicemente mi chiedo quanto si possa tollerare che un'azione liberamente compiuta venga fatta senza che noi lo comprendiamo. E quindi in effetti, quando mi trovo davanti a un pubblico in tutta questa storia, io non so. Non so dare un senso al tutto di questa storia, perché ci sono delle cose che non comprendiamo e basta. E mi sono resa conto anche di questo: che dirlo, verbalizzarlo, è anche assumersi una responsabilità. Ma non do soluzioni, faccio domande.

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