La misura prevede, per l'esercito, poteri di controllo su tutte le forze dell'ordine: i tanti manifestanti che hanno affollato le piazze in questi giorni ora temono la repressione. Otto parlamentari dimissionano
Un passaggio formale dovuto in parlamento, mentre ancora nelle ultime ore un battello affondato ha restituito un corpo e mentre continua la conta infinita dei danni. Ora i morti sono 171, 30 i dispersi, migliaia i feriti e 60 edifici patrimonio UNESCO rischiano di crollare.
Nella capitale libanese devastata dall'esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d'ammonio stoccate al porto lo scorso 4 agosto, per la prima volta dalla tragedia si è riunito il parlamento, per ratificare lo stato d'emergenza. La seduta è durata circa un'ora, alla fine Hamad Hassan, il ministro della sanità libanese, ha precisato che lo stato di emergenza (iniziato il 4 agosto n.d.r.) è stato esteso nella Capitale per un altro mese "come richiede la situazione sanitaria".
La seduta parlamentare, a cui hanno partecipato solo tre ministri del governo dimissionario di Hassane Diab si è tenuta nella sede dell'UNESCO al riparo dalle proteste di piazza che hanno costretto l'esecutivo a lasciare il potere e che anche in occasione di questa seduta parlamentare sono state convocate, stavolta però con scarso successo.
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Stato d'emergenza e repressione
Gli attivisti dei diritti umani temono che lo stato d'emergenza possa significare repressione. La misura infatti dispone pieni poteri per l'esercito su tutte le altre forze dell'ordine e facilita il pugno duro. Da parte dell'esercito sono arrivate rassicurazioni.
Intanto anche 8 parlamentari, proprio durante la seduta parlamentare, hanno rassegnato le dimissioni per prendere le distanze da un governo considerato responsabile del dramma.