Ucraina, un conflitto in stallo

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Dopo quasi due anni, nell’Ucraina orientale va avanti, tra combattimenti sporadici e pochi progressi sul fronte diplomatico, il conflitto tra

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Dopo quasi due anni, nell’Ucraina orientale va avanti, tra combattimenti sporadici e pochi progressi sul fronte diplomatico, il conflitto tra l’esercito di Kiev e i separatisti filorussi. Nonostante lungo il fronte si assista a una diminuzione progressiva dell’utilizzo di armi pesanti, una risoluzione definitiva alla crisi resta ancora lontana.

Combattimenti a bassa intensità

“Dalla metà di agosto le violazioni al cessate il fuoco sono diminuite costantemente” dichiara in un’intervista esclusiva a Euronews Alexander Hug, Vice Presidente dell’Operazione di Monitoraggio del conflitto dell’Osce. “Gli scontri a fuoco vedono impiegate principalmente le piccole armi, come ad esempio le pistole automatiche “ spiega Hugh che aggiunge“Si ricorre ancora alle granate, mentre è profondamente diminuito l’utilizzo delle armi pesanti, che persiste ancora soltanto in pochissimi casi”.

Gli osservatori Osce spiegano anche che il conflitto resta limitato ad alcune aree specifiche che comprendono: l’aeroporto di Donetsk, Pesky, Spartak e i quartieri periferici a ovest della città di Horlivka.

Presenza dei militari, cosa prevede il Protocollo di Minsk

Secondo l’accordo firmato a Minsk lo scorso mese di febbraio entrambe le fazioni devono abbandonare l’utilizzo di armi pesanti, ovvero quelle il cui calibro sia superiore ai 10 mm. Alle truppe è anche stato richiesto di indietreggiare di 25 chilometri rispetto alle posizioni raggiunte prima di febbraio, in modo da creare una zona cuscinetto grande 50 chilometri. Secondo quanto previsto dall’accordo per il cessate il fuoco, il ritiro sarebbe dovuto avvenire entro 14 giorni dalla firma. Quasi un anno dopo questa clausola è stata rispettata a oggi solo in minima parte. Le armi pesanti restano, anche se il loro utilizzo è diminuito sensibilmente, così come il ritiro delle truppe ucraine e filo-russe resta minimo rispetto agli obiettivi fissati a Minsk, tra i quali vi è anche il divieto del dispiegamento di nuove forze. Altro punto non mantenuto.

Tanto l’esercito regolare di Kiev , quanto le forze separatiste della Repubblica Popolare di Donetsk e Lugansk hanno, infatti, inviato in questi mesi nuove truppe in territori, fino allo scorso febbraio, non coinvolti dal conflitto. Allo stato attuale si tratta non tanto di un allargamento del fronte, quanto di una conferma sul territorio controllato dall’una o l’altra fazione. Si tratta comunque di operazioni che violano i principi del Protocollo di Minsk, che prevede al contrario la diminuzione progressiva dei militari.

Nel corso di questi movimenti di controllo territoriale, inoltre, capita spesso che le due parti si ritrovino molto vicine, col risultato di dar vita a scontri di bassa intensità.

“L’unica possibilità di dialogo”

Nonostante un certo scetticismo sulla sua reale efficacia, il Protocollo di Minsk resta l’unica possibilità di garantire il dialogo tra le parti in causa.

“Non esiste un’altra piattaforma di dialogo, non esiste un’altra possibilità. Se si ferma il dialogo resta soltanto la guerra” ammette Alexander Hug.

A dimostrazione dell’importanza dell’accordo di Minsk anche la decisione di procedere allo sminamento di alcune aree. Un passo importante. La presenza di mine nel territorio dell’Ucraina orientale ha, infatti, impedito fino a oggi la possibilità di avviare importanti operazioni umanitarie. Il tutto con effetti devastanti per la popolazione civile.

Tecnici senza frontiere

Lo sminamento è per figure come Vadym Chernysh questione di vita o di morte. Vadym fa parte, infatti, dell’agenzia ucraina per il recupero del Donbass. All’agenzia spettano compiti diversi, ma tutti vitali per la popolazione civile. Come ad esempio l’accesso della popolazione all’acqua potabile e all’elettricità.

In molti casi il lavoro dell’agenzia richiede a Vadym di attraversare le aree sotto il controllo delle diverse fazioni, molte delle quali sono state pesantemente minate nel corso dei mesi più duri del conflitto ucraino.

“Sullo sminamento sembrano essere tutti d’accordo. C‘è una forte cooperazione“ spiega Vadym a Euronews
“ E’ un buon segnale per la tenuta dell’accordo di Minsk, che al momento tiene soprattutto grazie al rispetto di quelli che sono definiti i punti minori, mentre per le grandi questioni siamo ancora molto lontani da una loro reale soluzione“.

Il confine

La creazione di un’area di sicurezza posta sotto il controllo dell’Osce al confine tra Russia e Ucraina, anche questa prevista dal Protocollo di Minsk, non è ancora stata creata.

“Il controllo del confine tornerà nelle mani di Kiev non appena il Parlamento avrà concesso lo svolgimento di elezioni locali autonome e sarà approvata l’amnistia per i combattenti separatisti “ spiega a Euronews Mikhail Pogrebinsky, politologo filo-russo residente nella capitale ucraina.

Lo scenario descritto da Pogrebinsky appare al momento di difficile attuazione. Stando a quanto previsto dal Protocollo di Minsk II, infatti, Kiev dovrebbe procedere a una riforma costituzionale in grado di riconoscere a Lugansk e Donetsk uno statuto speciale e quindi maggiori autonomie. Uno scenario ad oggi poco appetibile per il governo ucraino, che lo considera una specie di “cavallo di Troia“ che garantirebbe di fatto a Mosca un controllo permanente sul Paese.

Uno statuto speciale o uno Stato speciale?

“L’obiettivo dei nostri aggressori ci è chiaro: obbligandoci ad accettare lo statuto speciale di Lugansk e Donetsk, in realtà dividono il nostro Paese. L’Ucraina è un Paese unico“ spiega a Euronews il portavoce del Governo di Kiev Volodymyr Groysman, che aggiunge:“Il nostro obiettivo è concedere a questi territori piuttosto una sorta di auto-gestione amministrativa“.

La questione della concessione di uno statuto speciale a Lugansk e Donetsk è diventata materia di forte polemica politica. Soprattutto dopo che in suo favore si è schierato anche il Presidente Petro Poroshenko. Sono in molti, tuttavia, a credere che la sua affermazione sia scaturita dal timore di veder riaumetata l’intensità del conflitto.

Il puzzle europeo

La crisi nell’est ucraino potrebbe durare ancora per anni. La sua risoluzione passa oggi piu’ che mai dal dialogo tra Europa, Stati Uniti e Russia. Secondo alcune fonti diplomatiche occidentali di stanza a Kiev, Bruxelles vorrebbe che Mosca lasciasse cadere la propria resistenza all’accordo di Associazione Ucraina-Unione europea. Uno scenario poco probabile. Se il 1 gennaio 2016 entrerà in vigore l’area di libero scambio tra Ucraina e Unione europea, le relazioni tra Bruxelles e Mosca restano difficili. I leader delle 28 capitali europee hanno, infatti, deciso di prolungare per altri sei mesi le sanzioni economiche contro la Russia.

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Il Trattato di Associazione di Kiev all’Ue è stata, del resto, la causa scatenante del conflitto nell’est ucraino.Sono in pochi oggi a credere, pero’, che il Cremlino sia intervenuto nell’est dell’Ucraina soltanto per annettere la Crimea e rivendicare le antiche proprietà territoriali.

Qui l’intervista integrale con Alexander HUG, Vice- presidente missione Osce in Ucraina

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