Molti si chiedono se l'Unione Europea sia pronta ad affrontare le sfide geopolitiche di oggi. Mario Draghi e von der Leyen propongono una riforma estesa, tra cui l'abbandono del principio di unanimità
Quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha tenuto il suo discorso annuale sullo Stato dell'Unione Europea all'inizio di settembre, il messaggio è stato chiaro fin da subito.
"L'Europa deve lottare per il suo posto in un mondo in cui molte grandi potenze sono ambivalenti o apertamente ostili verso di noi", ha detto a Strasburgo.
"È un mondo di ambizioni imperiali e guerre imperiali. È per questo che deve emergere una nuova Europa".
Una settimana dopo, Mario Draghi, ex primo ministro italiano, ha lanciato un avvertimento altrettanto cupo.
"L’ultimo anno ha mostrato chiaramente che operiamo in un mondo diverso. Il confine tra economia e sicurezza è sempre più sfumato. Gli Stati usano ogni strumento a loro disposizione per far valere i propri interessi".
"Dobbiamo costruire la capacità di difenderci e resistere alla pressione nei settori chiave, come la difesa e l'industria pesante, e nelle tecnologie che plasmeranno il futuro", ha aggiunto Draghi.
Entrambi i discorsi hanno evidenziato il senso di accerchiamento che si è diffuso in un'Europa.
Gli analisti hanno definito questo periodo come l'era della "weaponisation", la trasformazione in arma di ogni capacità e risorsa.
Negli ultimi dieci anni, molti Paesi hanno sfruttato le proprie risorse nazionali per promuovere i propri interessi, a scapito di avversari o persino di alleati storici.
Dazi, risorse naturali e persino esseri umani sono oggi strumentalizzati in modi che sconvolgono le norme e i principi che dovrebbero rendere stabile il sistema internazionale.
"Non viviamo più in un ordine basato sulle regole, ma in un ordine basato sul potere", ha osservato un alto diplomatico dell'Unione Europea.
Quando tutto può essere usato come un'arma
Uno degli esempi più emblematici di questa nuova era risale ad agosto 2018, quando il presidente statunitense, Donald Trump, si ritirò dall'accordo nucleare con l'Iran, ripristinò le sanzioni contro il Paese e minacciò di sanzionare le aziende che avrebbero mantenuto legami con Teheran.
Il rischio di perdere l'accesso al mercato statunitense si rivelò convincente. La compagnia energetica francese Total abbandonò rapidamente un progetto nel settore del gas da 4,1 miliardi di euro in Iran.
Secondo un'analisi della London School of Economics (Lse) Trump ha utilizzato la minaccia di sanzioni come una vera e propria arma per convincere gli altri Paesi.
L'Unione Europea si confrontò nuovamente con un fenomeno simile nell'estate del 2021.
Il confine tra Bielorussia, Polonia e Lituania, venne improvvisamente travolto da un massiccio afflusso di migranti provenienti da Paesi come Iraq, Afghanistan, Siria e Congo.
Von der Leyen accusò il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, dato che quest'ultimo aveva precedentemente minacciato di "inondare" l'Unione Europea di migranti se il blocco avesse imposto sanzioni sul Paese.
"Questo è un attacco ibrido. Non una crisi migratoria", disse la leader europea.
Nel 2022 è stata la volta del gas: la Russia ha chiuso i rubinetti verso l’Europa, innescando un’impennata record dei prezzi e mettendo a nudo quanto l’energia, finora considerata una risorsa stabile, fosse in realtà un’arma geopolitica.
Nel 2025, l'Unione Europea ha affrontato diversi casi simili. Prima i dazi di Trump che hanno sconvolto il commercio globale. Poi i contro-dazi della Cina, che ha limitato le esportazioni di terre rare, elementi essenziali per l'industria energetica, tecnologica, automobilistica e militare.
Episodi diversi ma con la stessa logica: sfruttare la leva economica come uno strumento di potere, trasformandola in un'arma per sottomettere gli avversari.
L'Unione Europea si è limitata a osservare senza rispondere.
Con la Cina, Bruxelles ha scelto il dialogo e con Trump ha cercato di rispondere con ritorsioni mirate, ma le divisioni interne hanno impedito qualsiasi risposta concreta.
"L'Europa dovrebbe aver imparato una cosa: il potere negoziale non è automatico e garantito. Deve essere sviluppato e sfruttato", ha detto Tobias Gehrke, senior policy fellow al think tank European Council on Foreign Relations (Ecfr).
"Sperare che Cina e Stati Uniti non mettano più dazi non è una strategia. Se l'Europa vuole la deterrenza, deve prepararsi ora per quando verrà il momento di agire".
Il problema dell'Unione Europea in politica estera
L'immobilismo dell'Unione Europea ha sollevato dubbi sulla capacità del blocco di sopravvivere in un'epoca in cui gli Stati perseguono politiche di potere spietate.
"L'Europa non si vede ancora come una potenza", ha detto il presidente francese Emmanuel Macron, "Per essere liberi, bisogna essere temuti. Non siamo stati abbastanza temuti".
Ma l'Unione Europea non è nata per incutere paura.
Il blocco è emerso dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, sulla base della cooperazione economica e della diplomazia. I suoi strumenti sono cresciuti nel tempo, ma la sua forza è sempre stata l'integrazione non lo scontro.
Ma il caos internazionale ha mostrato le crepe nella macchina burocratica europea. La regola dell'unanimità nelle decisioni in politica estera è stata più volte messa in discussione.
“La politica di potenza non è mai scomparsa davvero. E ora è tornata,” ha detto a Euronews Henry Farrell, professore alla Johns Hopkins University e co-autore del libro How America Weaponized the World Economy.
"Entità politiche come l'Unione Europea, profondamente basate sull'interdipendenza, sono molto vulnerabili a questo sistema".
Gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e altre nazioni non sono vincolati da burocrazie ingombranti e possono agire in fretta, senza attendere l'approvazione di nessuno.
Nell'Unione Europea i processi decisionali sono lenti e le competenze sono divise tra più entità. "L’UE potrebbe usare i propri mercati come leva. Ma deve essere pronta a farlo sul serio", ha affermato Farrell.
Von der Leyen vuole superare il principio di unanimità
L’invasione russa dell’Ucraina e il ritorno di Trump hanno riacceso il dibattito su come rafforzare il blocco.
Draghi ha proposto prestiti congiunti, consolidamento industriale, preferenze per il “Made in Europe” e incentivi per l’innovazione tecnologica.** Ma, più ambiziosamente, ha anche evocato un modello federale europeo.
Von der Leyen, da parte sua, ha lanciato un messaggio chiaro: “È ora di liberarci dalle catene dell’unanimità”.
Per Draghi e von der Leyen, la centralizzazione è un requisito essenziale per il futuro.
Ironia della sorte, le soluzioni che hanno proposto sono, in misura maggiore o minore, osteggiate dagli Stati membri. I governi nazionali non vogliono cedere sovranità, anche se il prezzo è l’impotenza geopolitica.
"Certo, questo percorso romperà tabù di lunga data. Ma il resto del mondo ha già rotto i propri", ha detto Draghi nel suo discorso. "Per la sopravvivenza dell'Europa, dobbiamo fare ciò che non è mai stato fatto e rifiutare i limiti che ci siamo autoimposti".