Secondo il rapporto Sofi delle Nazioni Unite, le crisi globali stanno alimentando la fame in Africa, Asia e Medio Oriente, con tensioni commerciali, conflitti e cambiamenti climatici che spingono l'inflazione alimentare
Le agenzie delle Nazioni Unite avvertono che l’impatto combinato di crisi economiche, conflitti e cambiamenti climatici sta aggravando la fame in Africa, Asia e Medio Oriente.
Secondo il rapporto State of Food Security and Nutrition in the World 2025 (Sofi), elaborato congiuntamente da Fao, Ifad, Unicef, Pam e Oms, l'inflazione alimentare globale è alimentata da tensioni commerciali, guerre e eventi climatici estremi.
Il documento, redatto dall’Ifad (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), agenzia Onu con sede a Roma, sottolinea come la fame colpisca sempre più duramente alcune aree del mondo.
“La situazione è piuttosto allarmante, soprattutto in Africa e in Medio Oriente”, ha dichiarato a Euronews Álvaro Lario, presidente dell’Ifad. “Le tre cause principali sono i conflitti, le tensioni economiche e commerciali, e gli shock climatici”.
Le tensioni commerciali avviate nel 2018 durante la presidenza Trump, con l’imposizione di dazi elevati, restano in gran parte in vigore e continuano a influenzare negativamente il commercio agricolo globale.
I dati mostrano che nel 2024 oltre il 20 per cento della popolazione africana – pari a 307 milioni di persone – soffrirà la fame. In Medio Oriente, la quota salirà al 12,7 per cento, colpendo più di 39 milioni di individui.
Piccole attività agricole in pericolo
Le condizioni di vita dei piccoli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo si fanno sempre più difficili, contribuendo ai flussi migratori di tipo economico.
“Quando le persone non riescono a garantirsi un sostentamento dignitoso dove vivono, sono costrette a migrare”, ha osservato Lario, sottolineando il legame diretto tra insicurezza alimentare, migrazione e produzione agricola.
I piccoli agricoltori, che coltivano meno di 2 ettari, producono un terzo del cibo mondiale e fino al 70 per cento di quello consumato in Africa. Tuttavia, l’80 per cento di loro vive sotto la soglia di povertà e riceve meno dell’1 per cento dei finanziamenti globali per il clima: poco più di 4 miliardi di euro all’anno, a fronte di un fabbisogno stimato in oltre 70 miliardi.
“L’Africa importa ogni anno tra i 70 e gli 80 miliardi di euro di cibo. Ma potrebbe essere autosufficiente e creare milioni di posti di lavoro”, ha aggiunto Lario. Ogni anno 10 milioni di giovani africani entrano nel mercato del lavoro. “Investire nella filiera agricola – produzione, distribuzione, conservazione, commercio, esportazione – significherebbe generare occupazione sostenibile”, ha spiegato.
Conflitti e catastrofi aggravano l’insicurezza alimentare
Secondo la Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (Ipc), oltre 35 milioni di persone vivono in stato di emergenza (fase 4 Ipc), mentre quasi 2 milioni sono al livello massimo (fase 5), definito “catastrofico”.
Le situazioni più gravi si registrano a Gaza, in Sudan, Sud Sudan, Yemen e Haiti. In particolare, nella Striscia di Gaza, il 100 per cento della popolazione affronta alti livelli di insicurezza alimentare acuta: 1.106.900 persone nel 2024, quasi il doppio rispetto al 2023. Si tratta del dato più alto mai registrato a livello globale dall’Ipc.
“I numeri peggiorano soprattutto in Africa e Medio Oriente. Sono le due aree dove la fame cresce senza sosta”, ha concluso Lario.