Bernard Phelan, prigioniero in Iran per oltre 220 giorni, racconta le grida notturne dei condannati a morte e la sua esperienza traumatica nella prigione di Mashad.
Tra i tanti racconti orribili della sua prigionia come ostaggio di Stato in Iran, Bernard Phelan ricorda le grida notturne di impotenza degli uomini che dovevano essere impiccati al mattino.
"Tutti i prigionieri della nostra prigione che dovevano essere giustiziati sono stati portati nel nostro blocco la sera prima", racconta a Europe Conversation di Euronews.
"Non li vedevamo... li sentivamo durante la sera... piangere nella loro cella e con le scarpe davanti alla porta."
"Solo l'idea di essere accanto a qualcuno che verrà impiccato il giorno dopo le preghiere..."
"Non fanno esecuzioni durante il Ramadan. Quindi, dopo la fine del Ramadan, c'era un flusso continuo di uomini in quella cella", racconta, spiegando che: "L'Iran è il secondo Paese dopo la Cina in termini di esecuzioni."
Phelan è un consulente di viaggio a Parigi e ha la doppia nazionalità irlandese e francese. Nel 2022 è stato condannato a sei anni e mezzo nella famigerata prigione di Mashad, in Iran.
Al momento dell'arresto era la quinta volta che visitava il Paese, un luogo che diceva di conoscere bene, avendolo definito una meta turistica "ideale" sul quotidiano The Guardian.
Quando si è rifiutato di firmare documenti scritti in persiano - che riteneva essere una confessione non autorizzata - un giudice gli ha detto che sarebbe "morto in prigione".
Phelan è stato apparentemente accusato di aver spiato l'Iran per aver inviato informazioni a Paesi nemici come la Francia.
Ma, come racconta nel suo libro "You will die in Prison", fonti diplomatiche gli hanno poi comunicato che la polizia iraniana lo aveva preso in ostaggio per via del suo passaporto francese, nell’ottica di una manovra statale volta ad arrestare cittadini francesi, svedesi e belgi al fine di utilizzarli nell’ambito di uno scambio di prigionieri.
"Quando la polizia si è resa conto di avere per le mani un cittadino francese, ha pensato che la cosa fosse interessante. Gli iraniani hanno una lista della spesa di ostaggi e io ero la persona sbagliata, al posto sbagliato, al momento sbagliato", racconta.
Dopo l'arresto e la prima incarcerazione, ha trascorso la notte in cella steso su una coperta perché non c'era un letto. Racconta che quella notte si è reso conto della gravità della sua situazione quando è stato costretto ad ascoltare un prigioniero prelevato da una cella vicina e picchiato fragorosamente.
"Ho capito che ero nei guai. La situazione era molto seria", dice di aver pensato.
È stato messo intensamente per almeno un mese sotto interrogatorio fino alla sentenza; in diverse occasioni si è rifiutato di firmare i documenti delle autorità.
Tuttavia, Bernard descrive come sia rimasto "sbalordito" dalla disinvoltura con cui il regime carcerario ha reagito al fatto che è un uomo gay sposato con un marito a Parigi.
"Gli iraniani sono estremamente tolleranti. Tuttavia, so come il regime tratta la comunità gay iraniana. Li impiccano."
"Ma sapevo che non avrebbero fatto una cosa del genere a un ostaggio europeo", dice. "Gli servivo vivo."
I mesi sono stati pesanti e, inoltre, Phelan non sapeva se sarebbe mai riuscito ad andarsene, data la natura caotica e disonesta del regime che spesso imprigiona le persone per molti più anni della loro condanna formale.
"È uno shock terribile. Ho pensato che non sarei sopravvissuto fisicamente, non sapevo per quanto tempo sarei rimasto lì", racconta.
"Qui in Europa un detenuto sa quando uscirà. Se è stato condannato a cinque anni, dieci anni o sei mesi. Ma in Iran non sanno quando usciranno."
"Ci sono prigionieri politici condannati a due o tre anni che sono ancora lì dentro cinque anni dopo."
Bernard Phelan è stato infine rilasciato nel maggio 2023 dopo oltre 220 giorni di detenzione a seguito degli sforzi diplomatici delle autorità irlandesi e francesi.
Si è riunito al marito Roland e al padre, che all'epoca aveva 97 anni e che è morto a Dublino nell'ottobre 2024.