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Niente accordo sui vertici dell'Unione europea: decisione a fine mese

La decisione dei top jobs dell'Ue
La decisione dei top jobs dell'Ue Diritti d'autore  European Union
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Di Vincenzo Genovese
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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I capi di Stato e di governo dei Paesi dell'Ue si sono riuniti per discutere delle nomine ai ruoli apicali dell'Unione, senza trovare un'intesa. La decisione è rimandata al prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno.

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"Abbiamo una direzione giusta ma in questo momento non c'è accordo". Queste le parole del presidente del Consiglio europeo Charles Michel al termine della cena informale di Bruxelles, primo appuntamento frai i 27 capi di Stato e di governo per discutere le nomine alla presidenza della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo, oltre che dell'Alto rappresentante dell'Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. "È nostro dovere trovare l'accordo entro la fine di giugno, la decisione è in programma la prossima settimana".

L'accordo politico su cui i leader hanno lavorato è stato impostato dalle principali famiglie politiche europee: popolari, socialisti e liberali, e dovrebbe essere confermato al prossimo vertice formale, previsto sempre a Bruxelles il 27-28 giugno.

Il summit di lunedì è stato "un'occasione per scambiare opinioni, prendere in considerazione il risultato delle elezioni e preparare la riunione formale del Consiglio europeo", ha spiegato Charles Michel.

Come si scelgono i vertici dell'Ue?

Secondo il Trattato di Lisbona, dopo ogni elezione il potere di nominare il presidente della Commissione europea spetta al Consiglio europeo, cioè all’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. La decisione può essere presa “a maggioranza qualificata”, cioè con il parere favorevole di 15 Stati su 27, purché rappresentino almeno il 65% della popolazione complessiva.

Il Parlamento potrà poi solo confermare o meno questa scelta: con un voto a maggioranza assoluta, si elegge formalmente il presidente della Commissione per i cinque anni successivi (o la presidente: nel 2019 per la prima volta nella storia è stata una donna, Ursula von der Leyen).

Il Consiglio europeo sceglie anche l’Alto rappresentante per gli Affari esteri, oltre ovviamente al proprio presidente, che ha un mandato di due anni e mezzo. Quello del Parlamento viene invece deciso dal Parlamento stesso, in un voto a maggioranza assoluta, cioè con la metà più uno dei voti favorevoli degli eurodeputati: anch'egli ha un mandato di due anni e mezzo.

In pratica però i governi dei Paesi dell’Ue e i gruppi politici più numerosi all’Eurocamera negoziano un “pacchetto” con i nomi dei tre presidenti e dell'Alto rappresentante, e non è raro che concordino anche alcuni dei commissari.

L’esito delle elezioni europee contribuisce a delineare i rapporti di forza fra i vari gruppi politici, ma nella scelta si tengono di solito in considerazione anche la provenienza geografica e l’equilibrio di genere.

L’ultima volta, nel 2019, la presidenza della Commissione andò alla tedesca Ursula von der Leyen del Partito popolare europeo, quella del Consiglio Europeo al belga Charles Michel dei liberali di Renew Europe e quella del Parlamento all’italiano David Sassoli dei Socialisti e democratici europei, con l’accordo non scritto che a metà legislatura sarebbe passata a un esponente del Ppe: infatti a gennaio 2022 venne eletta la maltese Roberta Metsola.

Nomina vertici Ue: La combinazione più probabile

Al momento la combinazione più probabile, secondo le informazioni raccolte dai giornalisti di Euronews, prevede:

- La popolare tedesca Ursula von der Leyen confermata alla guida della Commissione europea

- Il socialista portoghese António Costa al Consiglio europeo

- La popolare maltese Roberta Metsola confermata alla guida del Parlamento, per metà della legislatura

- La liberale estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli Affari esteri

Von der Leyen è la grande favorita perché è candidata capolista del Partito popolare europeo, tecnicamente il vincitore delle elezioni. Nonostante qualche critica recente per la sua posizione sul conflitto in Medio Oriente o per alcuni dietrofront sugli obiettivi ambientali, resta molto apprezzata dai leader nazionali. "Penso che abbia fatto un ottimo lavoro", ha detto al suo arrivo la prima ministra danese Mette Frederiksen.

Anche l'ex primo ministro portoghese António Costa sembra godere di stima diffusa, dopo essere uscito indenne da un caso di corruzione nel suo Paese. Ma secondo fonti diplomatiche, il Ppe starebbe spingendo per concedergli solo il primo mandato da due anni e mezzo e concordare fin da ora il nome di un popolare per la seconda parte della legislatura.

Kaja Kallas potrebbe essere l'anello debole della combinazione: alcuni capi di Stato e di governo considerano la sua posizione sulla guerra in Ucraina eccessivamente radicale. "Dobbiamo stare molto attenti a chi rappresenterà l'Unione europea e la Commissione a livello internazionale. Non bisogna creare ancora più tensione, serve una persona che sia in grado di calmare la situazione", ha detto il presidente slovacco Peter Pellegrini.

La strategia di Giorgia Meloni

Secondo quanto emerso da fonti diplomatiche, la combinazione è gradita sia ai gruppi politici principali che ai leader nazionali, ma resta qualche dettaglio da sistemare. L'ostacolo principale alla chiusura dell'intesa è un disaccordo fra popolari e socialisti, con i primi che spingerebbero per ottenere anche la presidenza del Consiglio per la seconda parte della legislatura.

La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, invece, non sarebbe soddisfatta del pacchetto di nomine, riporta il Corriere della Sera. Non tanto per i nomi scelti, quanto per il metodo decisionale, che non terrebbe in conto l'esito delle elezioni. Il suo gruppo politico, i Conservatori e riformisti europei (Ecr), ha incrementato il numero di rappresentanti all'Eurocamera, e tallona il gruppo liberale Renew Europe per numero di deputati (80 a 76).

Ma come ha spiegato al suo arrivo il primo ministro polacco Donald Tusk, non è necessario convincere Meloni, perché l'attuale maggioranza formata dai tre gruppi principali ha i numeri sufficienti per sostenere il presidente della Commissione europea. I Conservatori sarebbero dunque sostanzialmente esclusi dal processo decisionale.

In questi giorni diversi eletti di partiti non allineati sono entrati nel gruppo Ecr, e altri potrebbero seguire. Ma non quelli del partito Fidesz di Viktor Orbán: sempre secondo il Corriere, la premier giudicherebbe svantaggioso l'ingresso degli ungheresi, invisi ad altri partiti del gruppo.

La strategia italiana è sembrata attendista: Meloni non ha fretta di chiudere il pacchetto delle nomine, anche perché potrebbe arrivare al prossimo appuntamento con più eurodeputati di Renew. Un altro segnale di cambiamento negli equilibri europei da far pesare al tavolo delle trattative.

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