Perché gli attivisti italiani per il diritto all'eutanasia abbracciano la disobbedienza civile?

Picture shows instruments for suicide a room in Liestal near Basel, Switzerland, May 10, 2018.   -
Picture shows instruments for suicide a room in Liestal near Basel, Switzerland, May 10, 2018. - Diritti d'autore AP Photo/Philipp Jenne
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Di Laura Loguercio
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Negli ultimi due mesi, diversi attivisti per il diritto all'eutanasia legale si sono autodenunciati alle autorità italiane per aver aiutato persone ad accedere a strutture di suicidio assistito all'estero, nonostante la minaccia di accuse penali

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Negli ultimi due mesi, diversi attivisti per il diritto alla morte si sono autodenunciati alle autorità italiane per aver aiutato persone ad accedere a strutture di suicidio assistito all'estero, nonostante la minaccia incombente di accuse penali.

Virginia Fiume, Felicetta Maltese e Marco Cappato hanno fatto proprio questo la mattina del 9 febbraio scorso, raccontando alla questura di Bologna di aver aiutato una donna, malata terminale di 89 anni, a morire in Svizzera.

"Eutanasia indiretta" o "suicidio assistito" - ultima risorsa per le persone che hanno sofferto di dolori fisici o psicologici insopportabili più a lungo di quanto possano patire e vogliono lasciare questo mondo sotto la supervisione di medici, attraverso l'autosomministrazione di una sostanza letale - non è consentita in Italia e le persone che aiutano altri ad accedere alla procedura possono essere incarcerate sino a 12 anni per "induzione o favoreggiamento al suicidio".

Per questi attivisti, l'autodenuncia è un mezzo per sensibilizzare circa la loro lotta per la legalizzazione del suicidio assistito in Italia, tra l'opposizione della classe politica e (almeno in parte) del settore civile.

Una sentenza storica

Il movimento per il diritto alla morte in Italia ha preso piede nel 2017, quando Fabiano Antoniani, noto anche come dj Fabo, è morto volontariamente in una struttura elvetica, tre anni dopo essere diventato cieco e tetraplegico a seguito di un drammatico incidente automobilistico. 

È stato aiutato da Marco Cappato, ex membro del Parlamento europeo e attuale tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, che vanta una lunga storia di sostegno al suicidio assistito.

Cappato si è autodenunciato alle autorità italiane, che hanno innescato un lungo procedimento giudiziario conclusosi con una sentenza storica.

Nel 2019, infatti, la Corte Costituzionale italiana ha stabilito che il suicidio assistito può essere consentito in determinate circostanze: il paziente deve essere pienamente capace di intendere e volere, accusare una patologia irreversibile che provochi un dolore fisico o psichico insopportabile e sopravvivere grazie al supporto di trattamenti vitali, come i ventilatori.

Poiché Antoniani soddisfaceva tutti questi requisiti, Cappato fu infine assolto e il tribunale stabilì che "il reato non sussisteva".

Anche se ha rappresentato un enorme passo avanti, molti attivisti considerano troppo ristretti i requisiti imposti dalla Corte costituzionale.

“Una delle questioni più importanti è la necessità che i pazienti siano legati a macchine salvavita, il che crea discriminazioni ingiuste, assurde e immorali tra diversi tipi di cure mediche”, ha detto ad Euronews Chiara Lalli, giornalista e ricercatrice autodenunciatasi alla Polizia nel dicembre 2022, per aver aiutato un malato terminale a morire in Svizzera.

Inoltre, la sentenza non specifica alcun periodo di tempo per l'esecuzione delle procedure, dopo che un paziente ha presentato una richiesta di suicidio assistito, portando potenzialmente ad anni di estenuante attesa.

Federico Carboni è stato il primo paziente a praticare legalmente il suicidio assistito in Italia nel giugno 2022, dopo più di un anno di battaglie legali e ritardi burocratici. 

Alessandra Tarantino/Copyright 2017 The AP. All rights reserved.
Pro-euthanasia activist Marco Cappato celebrates after the definitive approval by the Senate of a law allowing Italians to write living wills. Rome, Dec. 2017Alessandra Tarantino/Copyright 2017 The AP. All rights reserved.

Quando ha esalato l'ultimo respiro, aveva trascorso gli ultimi 12 anni della sua vita paralizzato nel suo letto: “Oggi le autorizzazioni necessarie per accedere al suicidio assistito sono spesso troppo lente e dipendono dall'orientamento politico delle amministrazioni locali”, afferma Filomena Gallo, segretaria dell'Associazione Luca Coscioni.

Nel tentativo di emendare la questione, lo scorso dicembre l'associazione ha lanciato una proposta di legge regionale che fissa a 20 giorni il tempo massimo entro il quale le autorità sanitarie possono valutare le richieste di suicidio assistito. 

Per entrare in vigore, il disegno di legge deve raccogliere almeno 5.000 firme e poi essere approvato dai Consigli regionali di ciascuna delle 20 regioni italiane.

Stallo politico

A livello nazionale, però, la sentenza della Corte costituzionale non è mai stata trasformata in legge vera e propria.

Negli ultimi quattro anni, tutti i tentativi di legalizzare completamente il suicidio assistito o pratiche simili sono falliti: tra queste, una campagna dell'Associazione Luca Coscioni per organizzare un referendum pubblico per la legalizzazione dell'eutanasia diretta, la procedura medica in cui un medico somministra un farmaco letale a un paziente che lo richiede volontariamente. 

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La pratica è attualmente perseguibile come omicidio consensuale: un disegno di legge per legalizzare il suicidio assistito secondo i requisiti posti dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019 è stato approvato dalla Camera dei deputati nel marzo 2022, ma non è arrivato al Senato in virtù della crisi politica che ha portato alla costituzione di un nuovo governo guidato da Giorgia Meloni.

Quest'ultima ha drasticamente ridotto le possibilità che si discutesse anche solo di una legge su questo tema.

Gli attivisti per il diritto alla morte si sentono scoraggiati dallo stallo politico che circonda il suicidio assistito nel Paese: “Il Parlamento italiano non fa nulla da anni, nonostante tutte le iniziative che abbiamo organizzato”, ha detto Virginia Fiume, co-presidente dell'associazione di difesa europea Eumans.

D'altra parte, gli attivisti pro-vita hanno tirato un sospiro di sollievo quando il Parlamento ha smesso di discutere il disegno di legge: "Lo Stato dovrebbe offrire assistenza, e non prospettare la morte, ai suoi cittadini", ha detto a Euronews Jacopo Coghe, portavoce dell'Associazione Pro Vita & Famiglia, gruppo conservatore che sostiene il diritto alla vita e la cosiddetta famiglia tradizionale.

Invece del suicidio assistito, l'associazione si batte per rendere più facile e sicuro l'accesso alle cure palliative e spera che il governo aumenti i finanziamenti per questo settore.

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Disobbedienza civile

In risposta a uno scenario politico statico, la disobbedienza civile sta diventando comune nel Paese.

Dallo scorso agosto almeno quattro italiani sono stati accompagnati nelle cliniche svizzere per trascorrere le loro ultime ore con gli attivisti Lalli, Maltese, Fiume e Cappato e il sostegno dell'Associazione Luca Coscioni.

“Il movimento aveva bisogno di qualcosa di più, se c'era qualcosa che potevo fare per aiutare le persone e mantenere viva la lotta, ero pronta", ha spiegato Fiume quando le è stato chiesto cosa l'ha ispirata ad agire.

“L'obiettivo di queste azioni è chiedere alla classe politica di assumersi le proprie responsabilità, ma siccome al momento tutto tace vogliamo ottenere nuove sentenze e migliorare quello che abbiamo già”, ha detto Lalli, sostenitrice del diritto a morire.

Allo stesso tempo, i gruppi pro-vita considerano i casi di disobbedienza civile come mere esibizioni. "Tutte queste azioni sono accuratamente pianificate, sia dal punto di vista legale che mediatico", ha detto Coghe.

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Ma gli attivisti per il diritto alla morte dignitosa vedono che sono stati fatti progressi, anche se riconoscono che resta ancora molto da fare.

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