La Commissione si rammarica per Dopo la tragedia di Cutro, ma non ha intenzione di prevedere una missione comunitaria di salvataggio in mare. Intanto gli Stati membri tengono bloccato il Pact on Migration
Dopo il tragico naufragio avvenuto nel Mar Jonio, si moltiplicano gli appelli all'Unione Europea, a partire da quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in una nota ha scritto: "È altrettanto indispensabile che l’Unione Europea assuma finalmente in concreto la responsabilità di governare il fenomeno migratorio".
Ma al di là delle abituali condoglianze di rito e delle espressioni di dolore per l'ennesima tragedia nel Mediterraneo, la risposta della Commissione europea è racchiusa in una frase già sentita, che ribadisce la posizione espressa dai 27 leader dei Paesi dell'Unione nell'ultimo Consiglio europeo.
"La migrazione è una sfida europea e va affrontata insieme, e questo è quello che stiamo facendo". Ha detto rispondendo alle domande dei giornalisti Anitta Hipper, portavoce dell'esecutivo comunitario. "C'è un obbligo legale di salvare e garantire la sicurezza della vita in mare".
Commissione impotente
Da Bruxelles, del resto, si può fare poco: il Pact on Migration, proposto nel settembre del 2020 per imprimere una svolta alle politiche comunitarie sul tema è bloccato dai veti reciproci dagli Stati membri.
Ci sarebbero le "misure operative", come il Piano d'azione per il Mediterraneo Centrale stilato lo scorso novembre, che include maggiore cooperazione con i Paesi di partenza delle persone migranti e un approccio coordinato a livello europeo su ricerca e salvataggio in mare, oltre all'implementazione del meccanismo volontario di solidarietà.
Secondo Sara Prestianni di EuroMed Rights, un network che raggruppa le associazioni per i diritti umani, non si tratta du un passo nella giusta direzione.
"La politica dell'Ue si sta concentrando principalmente sull'esternalizzazione delle frontiere, utilizzando leve negoziali e condizionalità con i Paesi terzi. Questa non è una soluzione, ma è parte del problema, perché le politiche di esternalizzazione portano a un aumento delle violazioni dei diritti umani e del numero di morti", dice a Euronews.
"L'unica soluzione che potrebbe evitare che le persone rischino la vita in mare è aumentare le vie di accesso legali all'Unione Europea".
Una rotta (più) pericolosa
L'imbarcazione naufragata a largo della Calabria arrivava dalla Turchia, percorrendo una rotta sempre più battuta. Il ministero dell'Interno italiano non fornisce dati statistici sulla provenienza delle barche su cui viaggiano le persone migranti, ma secondo le stime in possesso dell'associazione, circa il 15% dei 105mila approdi sulle coste italiane del 2022 arriva dal Mediterraneo orientale.
Un percorso lungo e pericoloso, intrapreso dalle coste turche e libanesi, evitando Grecia e Cipro, dove le autorità sbarrano il passaggio, in violazione del principio di non respingimento collettivo, come spiega Prestianni. "La Commissione dovrebbe aprire delle procedure di infrazione contro Grecia e Cipro: il loro comportamento provoca il percorrimento di rotte più lunghe, con maggiori possibilità di decessi".
Insieme ai pushback greci e ciprioti, a complicare la situazione nel Mediterraneo c'è la nuova linea adottata dal governo italiano: il decreto che introduce un codice di condotta e la decisione di assegnare alle navi delle Ong porti di sbarco situati nel Centro o Nord Italia rende più complicate le operazioni di salvataggio in mare.
Che in ogni caso non verranno effettuate tramite una "missione congiunta europea", come ha chiarito la Commissione. In questo momento l'Europa ha altre priorità sulla migrazione.