Rimpatri sì, ricollocamenti no, muri forse: la nuova politica migratoria dell'Ue

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Di Vincenzo Genovese
La nave Ocean Viking, protagonista di recente di una controversia tra Italia e Francia
La nave Ocean Viking, protagonista di recente di una controversia tra Italia e Francia   -  Diritti d'autore  Cleared

Le conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo mostrano in modo inequivocabile la volontà da parte dei leader dell'Unione di rafforzare i controlli alle frontiere e impedire l'arrivo di migranti irregolari anche con metodi finora sconosciuti

Più controlli e più rimpatri

Il testo finale approvato dai 27 Capi di Stato e di governo dell'Unione si concentra quasi esclusivamente sulla dimensione esterna del fenomeno migratorio, definito "una sfida europea che richiede una risposta europea".

Si spinge per una maggiore cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei migranti, sia per prevenire le partenze, sia per accettare i rimpatri dei richiedenti asilo respinti nell'Ue.

Su questo punto, i leader dell'Unione intendono usare diverse leve negoziali, compresi "la diplomazia, lo sviluppo, il commercio e i visti e le stesse opportunità di migrazione legale". Si menziona esplicitamente l'Articolo 25 bis del Codice europeo dei visti, che contempla la possibilità di sospendere i titoli di ingresso a quei Paesi che non cooperano sui rimpatri. Ma anche tra gli Stati dell'Ue è necessaria una maggiore collaborazione: per questo gli Stati membri dell'Ue riconosceranno reciprocamente le rispettive decisioni di rimpatrio, come previsto anche dalla strategia della Commissione europea sull'argomento.

Ma soprattutto, i 27 Paesi  sono concordi nel chiedere alla Commissione europea di finanziare le loro misure per controllare le frontiere: "infrastrutture di protezione dei mezzi di sorveglianza (compresa quella aerea) e attrezzature".Non è chiaro se tra queste infrastrutture siano inclusi anche i muri alle frontiere, finora un tabù per le politiche comunitarie: anche la stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen è stata piuttosto ambigua sul tema nella conferenza stampa finale.

"È chiaro è che servono telecamere, videosorveglianza elettronica, strade lungo le recinzioni, torri di avvistamento, attrezzature, veicoli. Quindi tutte queste cose dovrebbero essere comprese in un pacchetto integrato sulla gestione delle frontiere".

L'esito del vertice, comunque, sembra un chiaro successo per quei Paesi che insistono su misure drastiche alle frontiere terrestri. Sicuramente l'Austria, che ha chiesto esplicitamente di finanziare con fondi europei un muro tra Bulgaria e Turchia. Ma anche molti altri, visto che la costruzione di barriere con fondi comunitari era stata proposta in passato pure da Bulgaria, Cipro, Cechia, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia.

L'Italia rivendica i suoi successi

Ma anche il governo italiano canta vittoria, con il "riconoscimento delle specificità delle frontiere marittime" e la "cooperazione rafforzata sulle attività di ricerca e soccorso": secondo il governo una sorta di premessa in vista dell'obiettivo finale: un codice di condotta europeo per le Ong che effettuano salvataggi in mare.

Giorgia Meloni è molto soddisfatta di questi punti e rivendica un "cambiamento di approccio" a livello europeo sul modo di trattare l'argomento.

"L'immigrazione è un problema europeo e ha bisogno di una risposta europea. Questo a mio parere cambia moltissimo nell'approccio alla questione migratoria, ma non è l'unica cosa che abbiamo portato a casa", ha detto Meloni ai giornalisti nella conferenza stampa del giorno dopo, sottolineando come in passato non ci fosse mai stata questa attenzione alla rotta mediterranea da parte dell'Unione. 

Dalla politica migratoria dell'Unione, così  come dalle richieste italiane, sembrano invece scomparse le parole solidarietà e ricollocamenti: non si discute più su come distribuire fra i Paesi europei le persone migranti, ma solo su come impedire che arrivino in Europa.