Dopo 15 anni, il voto del Montenegro per l'indipendenza dalla Serbia brucia ancora

La gente esulta per le strade della città adriatica di Ulcinj, il 21 maggio 2006, dopo che un gruppo di monitoraggio indipendente ha detto che il Montenegro ha votato per l'in
La gente esulta per le strade della città adriatica di Ulcinj, il 21 maggio 2006, dopo che un gruppo di monitoraggio indipendente ha detto che il Montenegro ha votato per l'in Diritti d'autore ERMAL META/AFP
Di Orlando CrowcroftJovan Đurić
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E' considerato, da molti, ancora un tema divisivo: e con la prima vittoria elettoriale degli ex unionisti nei 15 anni trascorsi dal referendum, qualcuno crede che i giochi possano riaprirsi. Il nostro reportage

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Era il 21 maggio 2006:  a poche ore appena dalla chiusura dei seggi, il capo della commissione elettorale del Montenegro diceva ai giornalisti che il paese aveva votato con un margine del 55,4% per separarsi dalla Serbia e diventare uno stato indipendente.

In circostanze normali, il dato avrebbe implicato un risultato per nulla netto ma definitivo; ma a causa di una gabella nel regolamento, la campagna per il sì aveva bisogno del 55% almeno per vincere.

A quel punto il risultato era troppo incerto per essere annunciato.

Ma ciò non impedì a Milo Djukanovic, primo ministro del Montenegro e architetto della campagna per l'indipendenza, di rivendicare la vittoria. In un discorso ai sostenitori, Djukanovic disse che il 99% dei voti era stato conteggiato e rimanevano "solo alcuni comuni di Podgorica".

A sentir lui restavano solo 6.000 voti da contare che "in nessun modo" potevano "alterare il risultato".

E non sorprende che l'uomo dall'altra parte della barricata, Predrag Bulatovic, non fosse affatto d'accordo su quei numeri. Bulatovic disse ai suoi sostenitori che il risultato era del 54%, un punto percentuale in meno.

La commissione elettorale, nel frattempo, diceva che il referendum si stava giocando sui 19.000 voti ancora contesi a Podgorica.

Bulatovic e la coalizione dei sindacalisti chiesero un riconteggio, che fu negato, e poche ore dopo la commissione elettorale annunciò che il risultato finale era del 55,5% a per il sì.

Dodici giorni dopo, il 3 giugno 2006, il Montenegro dichiarava l'indipendenza dalla Serbia.

Il risultato del referendum fu, alla fine, ampiamente accettato. La Serbia fu una delle prime nazioni a prenderne atto, seguita dalla Russia, dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti e dai vicini balcanici del paese, come Croazia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina, i cui percorsi verso l'indipendenza avevano portato alla lenta e sanguinosa dissoluzione dell'ex Jugoslavia.

La sua statualità il Montenegro l'aveva ottenuta democraticamente, senza sparare un colpo.

Fine della storia?

Sembrerebbe di no. 

Frattura permanente

Esattamente 15 anni dopo, quella profonda divisione che parve spaccare in due il paese al referendum del 2006 definisce ancora la politica montenegrina. Per Predrag Bulatovic, che ha guidato la campagna unionista, le ferite sono ancora aperte.

"Fu tutto irregolare", ha detto Bulatovic a Euronews. "Posso anche dire che il risultato fu brutalmente rubato".

Bulatovic si è dimesso da leader del Partito Popolare Socialista (SNP) all'opposizione alle elezioni del settembre 2006, quando il Partito Democratico dei Socialisti (DPS) di Djukanovic ha vinto una piccola maggioranza sulla scia del voto d'indipendenza e con la promessa di portare il Montenegro nell'Unione europea. 

Bulatovic, che rimane un deputato ed è stato uno dei fondatori del Fronte Democratico di opposizione, ha avvertito nel 2006 che l'indipendenza avrebbe trasformato il Montenegro nel "buco nero d'Europa", afflitto da corruzione e criminalità organizzata, e ciò avrebbe sempre impedito al paese di entrare nell'Unione europea- 

Quindici anni dopo, l'ex leader unionista è convinto che le sue paure si siano ampiamente realizzate.

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"Siamo riconosciuti come il paese della corruzione endemica, delle privatizzazioni losche e delle istituzioni sgretolate", dice.

L'era Djukanovic

Bulatovic attribuisce questo principalmente a un uomo, Milo Djukanovic, che ha dominato la politica montenegrina dal 1991, continuando a farlo anche dopo il 2006. Il suo DPS ha vinto ogni elezione dal 2006  al 2020, portando il Montenegro nella NATO e mantenendo relazioni sempre più fragili con Belgrado. Queste ultime sono peggiorate ulteriormente quando il Montenegro ha riconosciuto il Kosovo nel 2008.

 Djukanovic è stato osteggiato da una rumorosa opposizione guidata dai nazionalisti filo-serbi più oltranzisti, che nel 2006 erano stati i più convinti sostenitori della campagna unionista. Dieci anni dopo, nel 2016, 14 persone sono state condannate per un complotto per rovesciare e uccidere Djukanovic alla vigilia delle elezioni parlamentari del Montenegro. Un tentativo di golpe che, secondo molti, fu è sostenuto  sia da Belgrado che da Mosca, anche se entrambe hanno sempre negato.

Nel 2020, la frattura in Montenegro è divenuta  nuovamente evidente in una disputa sulle proprietà terriere della Chiesa serbo-ortodossa, con il governo Djukanovic che voleva costringere l'istituzione a registrare le sue vaste proprietà terriere montenegrine. La legge ha portato a proteste di strada e, infine, alla sconfitta del DPS nelle elezioni dell'agosto 2020 che ha dato all'opposizione il potere per la prima volta.

Come il referendum, le elezioni dell'anno scorso sono state vinte con un margine strettissimo, con l'opposizione che ha ottenuto una maggioranza in parlamento di appena un seggio. Ma tanto è bastato per condurre un'aspra battaglia con il procuratore speciale del paese, Milivoje Katnic - considerato un alleato di Djukanovic, anche se lui lo nega - sulle indagini per corruzione sul DPS e i suoi alleati.

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SAVO PRELEVIC/AFP
Predrag Bulatovic, il leader del Partito popolare socialista montenegrino all'opposizione e leader del blocco per l'unione con la Serbia, vota al seggio elettorale nel 2006SAVO PRELEVIC/AFP

La tornata ha anche segnato un riavvio delle relazioni con Belgrado e un  tentativo da parte del nuovo governo di offrire un percorso verso la cittadinanza montenegrina per centinaia di migliaia di residenti a lungo termine che vivono in Serbia. In precedenza ai montenegrini in Serbia era stato  impedito di rivendicare la cittadinanza a causa del divieto di avere la doppia nazionalità.

Anche questa disputa è vecchia. Nel 2006, il governo del Montenegro ha fatto pressione, con successo, per un divieto ai montenegrini residenti in Serbia di votare nel referendum. Per qualificarsi gli elettori dovevano avere una residenza permanente in Montenegro da almeno due anni. La campagna per l'indipendenza riteneva - non ingiustamente - che gli elettori residenti in Serbia avrebbero probabilmente optato per un'unione continua.

Gli unionisti, guidati da Bulatovic, si sono parecchio adirati per la decisione, che da allora è stata replicata anche altrove. Nel referendum sull'indipendenza della Scozia del 2014, per esempio, agli scozzesi che vivono altrove nel Regno Unito non è stato permesso di votare.

Ora, molti in Montenegro temono che un afflusso di nuovi cittadini precedentemente serbi o residenti in Serbia possa far pendere la bilancia politica verso il governo e lontano dal DPS. Ci sono persino timori - sebbene siano stati pubblicamente negati anche dai nazionalisti pro serbi - che il nuovo governo possa cercare di rovesciare completamente il referendum del 2006.

Djukanovic stesso, in vista delle elezioni del 2020, ha lasciato spesso intendere che l'opposizione volesse rovesciare i risultati del 2006, e che ogni voto espresso il loro favore equivalesse dunque a un voto contro l'indipendenza montenegrina.

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Il Montenegro è completamente indipendente, e nessuno vuole più parlare di unione.
Predrag Bulatovic
deputato montenegrino ed ex attivista unionista

Nonostante molti dei titoli più allarmistici dall'agosto 2020, non tutti gli esponenti del nuovo governo sono nazionalisti serbi. La compagine è ampia, composta da liberali, conservatori religiosi, nazionalisti e verdi, oltre a un considerevole contingente nazionalista serbo.

Ugualmente il paese: circa il 30% della popolazione del Montenegro si identifica come serba, il 50% montenegrina, il 9% bosniaca musulmana e il 5% albanese, secondo il censimento del 2011, il più recente.

La demografia è stata un fattore chiave nel 2006, quando i comuni a maggioranza serba votarono in modo schiacciante per rimanere parte di un'unione con la Serbia e i montenegrini per andarsene. A Pluzine, un comune a maggioranza serba vicino al confine bosniaco, l'80% ha votato no. Nella storica capitale montenegrina di Cetinje - che è al 91% montenegrina - l'86% delle persone ha votato .

Risto Bozovic/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
manifestanti durante una protesta contro il nuovo governo a Podgorica, Montenegro, lunedì 28 dicembre 2020.Risto Bozovic/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.

Ma anche le minoranze hanno giocato un ruolo considerevole - anzi, secondo i critici, un ruolo sovradimensionato - nel trionfo della spinta all'indipendenza guidata da Djokovic. A Rozaje, che è a stragrande maggioranza bosniaca, e a Ulcinj, che è a maggioranza albanese, il 90% degli elettori registrati ha favorito l'indipendenza. Non si tratta di piccoli comuni: insieme rappresentano 26.000 voti favorevoli.

Sovradimensionati, dunque, perché nel mezzo della campagna referendaria il DPS ha fatto passare in parlamento una legge che ha aumentato la quota di deputati assegnati alle minoranze nel parlamento montenegrino. La legge - che era in stallo da tre anni - era un chiaro incentivo per incoraggiare i partiti di minoranza a sostenere l'indipendenza durante il referendum.

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E poi c'era Podgorica, la capitale montenegrina, i cui 113.915 elettori registrati sono scesi 53% a 47% a favore dell'indipendenza. È stato a Podgorica che i voti sono stati contestati la notte delle elezioni e dove alla fine la commissione elettorale ha pronunciato la vittoria del sì il 22 maggio.

Le domande che circondano quei voti - e altre presunte irregolarità in tutto il paese - non sono scomparse dopo tutti questi anni. Anche se la valutazione dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) è stata più che positiva nel suo rapporto del giugno 2006 - con il 96,6% dei seggi elettorali visitati classificati come "buoni" o "molto buoni" - sono stati trovati problemi.

Gli osservatori hanno riferito che il 4% dei seggi visitati avevano urne non sigillate, mentre nel 5% gli elettori avrebbero segnato le proprie schede fuori dalle cabine elettorali. Gli osservatori stati anche messi al corrente di casi in cui gli elettori sarebbero stati pagati per votare in un certo modo, e ancora di più di elettori che hanno fotografato le loro schede elettorali, il che potrebbe rappresentare un indizio nella stessa direzione.

L'OSCE cita in particolare i casi di Berane e Pljevlja, entrambi comuni in cui il margine fu, rispettivamente, di 1.350 (su un totale di 24.000 elettori) e 6.894 (su 25.000). Le limitate condanne successivamente comminate per l'acquisto di voti si riferivano tutte alla campagna per l'indipendenza.

Anche se si sono verificati fatti minori - e nonostante un rapporto finale brillante da parte degli osservatori - queste infrazioni sono rimaste controverse, dati i margini. Secondo la legge elettorale, il 54,9% avrebbe significato una sconfitta, così il sì è stato conquistato in definitiva grazie a uno 0,6%, o 2.500 schede.

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'Ragioni politiche occulte'

In realtà, però, il 54,9% - o anche il 54% - avrebbe probabilmente portato a uno stallo politico e all'instabilità piuttosto che a una concessione di sconfitta da parte degli indipendentisti. Djukanovic ha imposto solo a malincuore la soglia del 55% voluta dall'UE e anche le voci all'interno dell'Europa all'epoca erano critiche, compreso il rapporto ufficiale del Consiglio d'Europa.

"Ciò è stato fatto per ragioni politiche palesi e avrebbe creato una crisi se il risultato fosse stato, per esempio, del 54%", ha scritto Lord Russell-Johnston, il relatore del Consiglio per il Montenegro. "Il requisito avrebbe dovuto essere il 50% +1".

La Commissione europea non ha risposto alle richieste di commento di Euronews su quali fossero le ragioni politiche o sul perché la condizione fosse stata imposta, ma un successivo rapporto dell'OSCE ha suggerito che ciò sia avvenuto per assicurare che, se la campagna per l'indipendenza avesse vinto, sarebbe stata una vittoria decisiva piuttosto che una questione di un punto percentuale sopra il 50% che avrebbe potuto essere contestato.

Sinisa Vukovic, docente presso la School of Advanced International Studies (SAIS) alla Johns Hopkins University, ha detto che l'UE ha riconosciuto che qualsiasi percentuale tra il 50% e il 55% sarebbe stata una "zona grigia" piuttosto che una sconfitta totale della campagna per l'indipendenza.

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Il presidente del Montenegro Milo Dukanovic parla ai media dopo un incontro con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg nella sede della NATO a Bruxelles, 18 maggioVirginia Mayo/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved

"In questa zona grigia - ha detto Vukovic -le tensioni sullo status sarebbero continuate. C'era una tacita convinzione da parte dell'UE che [anche in caso di una sconfitta per gli indipendentisti] un altro referendum sarebbe stato indetto entro pochi anni a causa del chiaro sostegno per l'indipendenza, e l'ingiustizia della regola del 55% che è stata imposta".

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La storia avrebbe potuto essere molto diversa per il Montenegro e anche per l'intera regione se la campagna per il sì avesse ottenuto lo 0,6% di voti in meno il 21 maggio. La costituzione di Serbia e Montenegro del 2003 prevedeva che entrambi i partner potessero indire un referendum dopo tre anni di unione. Stabiliva inoltre che se il referendum fosse fallito, ci sarebbe stata un'attesa obbligatoria di tre anni prima di una ripetizione.

I tre anni successivi al referendum sono stati un periodo cruciale per il Montenegro e per l'intera regione. Nel 2007, il Montenegro ha firmato un accordo di stabilizzazione e associazione con l'UE, iniziando il suo percorso verso l'adesione al blocco. Nel 2008 ha riconosciuto il Kosovo indipendente, che ha seguito il suo esempio dichiarando l'indipendenza da Belgrado.

Nel novembre 2010, la Commissione europea ha raccomandato che il Montenegro fosse nominato come candidato formale per l'ingresso nell'Unione europea.

Gli unionisti potrebbero controbattere che l'opposizione all'indipendenza non si è tradotta in ostilità al Montenegro in Europa; ed è vero che le bandiere europee sono state sventolate sia ai raduni unionisti che a quelli indipendentisti. La differenza con i raduni unionisti era che accanto a loro c'erano manifestanti che indossavano magliette con i volti di Radovan Karadžić e Ratko Mladić.

Mladic, un leader serbo-bosniaco che ha guidato sia l'assedio di Sarajevo che il massacro di Srebrenica, era ancora in fuga nel 2006 e il fallimento della Serbia nel rintracciarlo ha continuato a ostacolare gli sforzi di Belgrado per assicurarsi l'adesione all'Unione Europea.

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 Il paese non è stato riconosciuto come nazione candidata fino al 2011, lo stesso anno in cui Mladic è stato arrestato in Serbia.

Il cammino verso l'Europa in stallo

L'adesione all'Unione europea ha un sostegno schiacciante in Montenegro, con sondaggi recenti che la collocano a oltre l'80%, rispetto al 63% della Serbia. Dopo otto anni di colloqui di adesione, tutti i 33 capitoli vagliati sono stati aperti e tre chiusi. Un rapporto della Commissione europea per il 2020 ha rilevato progressi su quasi tutti i capitoli, tranne per la libertà di espressione.

Questo è sempre stato il caso del Montenegro che, a differenza dei suoi vicini, non ha una forte tradizione di euroscetticismo. Ciò che potrebbe essere cambiato, però, è l'opinione dei montenegrini sull'indipendenza, con recenti sondaggi che suggeriscono che l'80% voterebbe a favore se si tenesse oggi.

ANDREJ ISAKOVIC/AFP
Un gruppo di giovani sventola le bandiere nazionali del Montenegro davanti al palazzo del Parlamento a Podgorica, 03 giugno 2006ANDREJ ISAKOVIC/AFP

Ma il recente cambio di direzione politica del Montenegro ha fatto temere a molti che anche le opinioni possano cambiare in peggio. La presenza di nazionalisti serbi incalliti nel governo, per la prima volta dall'indipendenza, e le relazioni via via più strette con una Belgrado sempre più nazionalista hanno già iniziato ad avere un effetto sul discorso nel paese.

Una recente campagna online del Ministero dell'Educazione e della Cultura, per esempio, include un focus sulla promozione dell'identità serba con il Montenegro con lo slogan: "Noi sappiamo chi siamo".

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"Tutto questo vi dice che la creazione della spaccatura nell'identità - che può alla fine tradursi in sentimenti anti-indipendentista - è parte di un'agenda politica", ha dichiarato Majda Ruge, senior policy fellow presso l'European Council on Foreign Relations (ECFR).

Questo potrebbe diventare ancora più attraente per alcuni settori del Montenegro se il processo di adesione all'UE continuasse a bloccarsi e in mezzo all'ostilità dell'Europa occidentale verso l'ammissione di nuovi membri dai Balcani occidentali. Se l'adesione europea è fuori discussione, forse un'unione più stretta con la Serbia, partner storico del Montenegro, non è poi così male.

"Per me, la domanda importante è quale sia l'agenda politica dei partiti politici orientati a Belgrado e se si sovrappone agli interessi del governo di Belgrado", ha detto Ruge.

"Come si tradurrà nelle politiche concrete e nei discorsi dell'attuale governo a cui questi partiti partecipano nei prossimi quattro anni? L'opinione pubblica potrebbe non essere divisa ora, ma tra un paio d'anni potrebbe esserlo, come risultato della [...] manipolazione dell'opinione pubblica".

Non insieme, non divisi

Bulatovic, un tempo un sindacalista focoso e ora un deputato del Fronte Democratico, non crede che ci siano molte voci in Montenegro che oggi vorrebbero davvero annullare il referendum e formare una nuova unione con la Serbia. A suo dire, gli unionisti hanno giocato le loro carte nel 2006 e hanno perso. "Ora è il momento di andare avanti".

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"Mi dispiace molto per la scissione - spiega - ma dobbiamo accettare la realtà. Il Montenegro è completamente indipendente, e non ci sono soggetti politici che vorrebbero parlare di nuovo di unione. Che io sappia, neanche in Serbia ci sono umori di questo tipo", ha detto.

Se la Serbia e il Montenegro avranno di nuovo un'unione, ha detto Bulatovic, sarà come membri di un progetto molto più grande, l'Unione europea.

"Il Montenegro è in trattative con l'UE, e la Serbia vuole la stessa cosa. Se entrambi diventiamo membri dell'UE, possiamo continuare le relazioni di vicinato e la nostra vita insieme in questo modo".

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